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La PMI che non cambia è già fuori mercato

C’è una storia che raccontano spesso, quella della rana bollita. La conosci, vero? Se butti una rana in un pentolone d’acqua bollente, lei salta subito fuori. Ma se la metti in acqua tiepida e alzi il fuoco poco a poco, non se ne accorge, si adatta, finché non è troppo tardi. Ecco, a volte mi chiedo se molte piccole e medie imprese non stiano nuotando, loro malgrado, in quella stessa acqua. La temperatura sale così gradualmente che quasi non te ne accorgi. I cicli una volta erano secolari, poi decennali, poi annuali. Oggi? Oggi il ritmo del cambiamento viaggia nell’ordine dei mesi, a volte delle settimane. E in questo contesto, la resistenza al cambiamento non è più un difetto di carattere, un’idiosincrasia gestionale: è un fattore di rischio gravissimo, forse il più subdolo in assoluto.

Il problema è che non si tratta solo di lentezza o di pigrizia. Il vero pericolo striscia dentro, silenzioso, ed è quello che ci convince di avere già ragione. È il bias cognitivo di conferma, quel meccanismo perverso per cui, senza nemmeno accorgercene, cerchiamo solo le informazioni che confermano ciò che già pensiamo e scartiamo tutto il resto. Continuiamo a leggere gli stessi giornali, a frequentare le stesse fiere, ad ascoltare gli stessi consulenti che ci dicono quello che vogliamo sentire. Il mercato sta cambiando? No, è solo una moda. Quel concorrente sta facendo qualcosa di nuovo? Bah, sono fuori strada. I nostri clienti storici cominciano a deflettere? Colpa della crisi, non di noi. Così, mattone dopo mattone, costruiamo un muro attorno a noi, convinti di stare edificando una fortezza, mentre in realtà ci stiamo murando vivi in un modello che il mondo sta superando.

E la frittata, a quel punto, è fatta. Quando ti svegli e l’acqua è ormai prossima all’ebollizione, il salto è impossibile. Perdi mercato non perché il tuo prodotto sia improvvisamente diventato scadente, ma perché il mondo attorno ha cambiato linguaggio, ha cambiato bisogni, ha cambiato velocità. Perdi pezzi di clientela, non perché siano infedeli, ma perché tu per primo sei rimasto fedele a un’idea del passato. E la sopravvivenza stessa, il poter restare in gioco, diventa una questione drammaticamente aperta.

Ma c’è una via d’uscita. Non è una formula magica, non è un decalogo. È una questione di sguardo. Serve visione, che non è avere un’idea geniale una volta ogni dieci anni, ma è la capacità di leggere il presente con gli occhi del futuro. Serve consapevolezza, che è l’onestà intellettuale di ammettere che forse, nonostante tutti i nostri successi passati, potremmo non avere più tutte le risposte. E serve, soprattutto, una spietata capacità critica verso noi stessi, verso le nostre certezze, verso i nostri “abbiamo sempre fatto così”.

Perché il punto non è reagire al cambiamento. Reagire significa che il cambiamento è già avvenuto, che qualcun altro ha già scritto le regole del gioco e tu arrivi dopo, inseguendo. Oggi vince chi gioca d’anticipo. Chi sente il fremito del mondo che verrà ancor prima che si manifesti. Chi ha il coraggio di mettere in discussione il proprio prodotto, il proprio processo, il proprio mercato, prima che sia il mercato stesso a farlo, in modo brutale e definitivo. Non si tratta di essere sempre all’avanguardia tecnologica, si tratta di avere l’umiltà di imparare sempre e l’audacia di immaginare cosa verrà dopo. Il sonno della ragione, si dice, genera mostri. Il sonno dell’impresa, oggi, non genera nulla. Semplicemente, spegne i motori.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

29/10/2025