Spese per fiere e viaggi: possono davvero essere ammortizzate?

Ogni anno, molte piccole e medie imprese si trovano a sostenere costi anche significativi per partecipare a fiere di settore, organizzare viaggi aziendali, visitare clienti o fornitori all’estero e, più in generale, per aprirsi a nuovi mercati e a nuove opportunità. Si tratta spesso di scelte strategiche, fatte con lungimiranza e con l’intenzione di dare slancio all’innovazione, al prodotto, al posizionamento dell’impresa. È quindi naturale che, in fase di chiusura del bilancio, qualcuno si chieda: queste spese non potrebbero essere ammortizzate, dato che producono effetti anche negli anni successivi?

La domanda è legittima, e non riguarda solo un tecnicismo contabile. Tocca una questione più profonda: come diamo valore, in bilancio, a ciò che facciamo per far crescere l’azienda? Come distinguiamo ciò che costituisce un investimento vero e proprio, da ciò che invece deve restare nel conto economico come costo dell’anno?

Per rispondere, bisogna anzitutto capire che non tutte le spese “utili” o “strategiche” possono essere considerate immobilizzazioni. In contabilità, il fatto che una spesa porti risultati futuri non basta a renderla capitalizzabile. Ciò che si può ammortizzare nel tempo deve avere caratteristiche precise: deve essere parte di un progetto tecnico ben definito, deve avere una ricaduta certa e misurabile, e deve riguardare lo sviluppo, e non la promozione, di un bene, un processo o un prodotto.

È per questo che, salvo rare eccezioni, i costi sostenuti per partecipare a fiere o missioni all’estero, anche se funzionali alla crescita dell’azienda, non possono essere iscritti tra le immobilizzazioni. Rientrano nei costi dell’esercizio e devono essere trattati come tali. Lo stesso vale per i viaggi esplorativi alla ricerca di clienti, per le campagne commerciali o per tutte le attività che, pur guardando al futuro, si muovono nel campo del marketing o della strategia commerciale. Queste spese vanno riconosciute come tali, senza forzature.

Naturalmente esistono casi in cui il confine può sembrare meno netto. Immaginiamo, per esempio, che un tecnico dell’azienda si rechi all’estero per partecipare a un collaudo, per testare un prototipo o per lavorare a una fase cruciale di un progetto di sviluppo già formalizzato. In queste circostanze, il viaggio potrebbe, in alcuni casi, essere incluso nei costi del progetto stesso e dunque capitalizzato. Ma affinché ciò sia possibile, occorre documentare bene il nesso tra la trasferta e lo sviluppo tecnico, e dimostrare che non si tratta di un’attività commerciale o promozionale.

Una piccola impresa che non è soggetta a revisione legale può comunque gestire in modo ordinato e prudente la distinzione tra costi di esercizio e costi capitalizzabili. Non serve complicarsi la vita con procedure formali o burocratiche. Basta adottare alcune buone pratiche: per esempio, preparare una breve scheda ogni volta che si avvia un progetto di sviluppo, raccogliere in un file dedicato le spese legate al progetto, e tenere traccia delle ore di lavoro impiegate, magari con un semplice foglio Excel. Alla fine dell’anno, sarà più semplice decidere in modo consapevole quali costi possano essere iscritti tra le immobilizzazioni e ammortizzati negli anni successivi, e quali debbano invece restare tra le spese correnti.

Gestire con attenzione questa distinzione non è solo un’esigenza formale. È una forma di tutela per l’impresa, che evita contestazioni e rilievi in fase di controllo, ma è anche un modo per dare ordine e coerenza alla propria visione economica. In un bilancio ben costruito, gli investimenti veri emergono per ciò che sono, e le spese correnti restano dove devono stare, senza artifici.

In definitiva, non è la volontà strategica a determinare il trattamento contabile di una spesa, ma la sua natura oggettiva, la sua funzione tecnica e il modo in cui viene documentata. D’altra parte, saper distinguere correttamente tra ciò che si può capitalizzare e ciò che va imputato all’anno corrente è un segno di maturità contabile, oltre che uno strumento utile per chi vuole guidare la propria impresa con consapevolezza.

Ogni decisione in azienda deve essere ponderata, anche il modo in cui trattiamo i costi può diventare un gesto di equilibrio e di visione. Perché crescere, oggi, significa anche imparare a leggere la realtà dell’impresa attraverso una contabilità che non sia solo adempimento, ma soprattutto strumento di comprensione e di governo.

I sottoconti sono più di un dettaglio

Nel contesto della gestione aziendale, un piano dei conti ben strutturato rappresenta una delle fondamenta su cui si basa il controllo di gestione, soprattutto quando si tratta di organizzare i dati contabili in modo chiaro e coerente. In particolare, l’accuratezza e la correttezza dei sottoconti di terzo livello all’interno del piano dei conti possono fare una grande differenza nella gestione dei centri di costo e, di conseguenza, nella capacità dell’azienda di pianificare e monitorare le proprie attività in modo efficace.

Un piano dei conti dettagliato, con una struttura gerarchica ben definita, consente di ottenere una visione chiara e immediata delle varie componenti aziendali. Se i sottoconti di terzo livello sono ben organizzati e coerenti con le specificità dell’azienda, diventa più semplice assegnare correttamente costi e ricavi ai vari centri di responsabilità. Questo permette ai manager di valutare in modo più preciso l’andamento di ciascuna area operativa, individuare eventuali inefficienze e adottare tempestivamente le opportune strategie correttive.

Ad esempio, in un’azienda manifatturiera, una classificazione accurata dei costi diretti e indiretti nei vari centri di costo può facilitare l’individuazione di margini operativi più realistici, evitando sovrastime o sottostime che potrebbero influenzare le decisioni strategiche. Questo livello di precisione è essenziale non solo per la gestione interna, ma anche per migliorare la qualità dell’informazione finanziaria da presentare agli stakeholder esterni.

Quando un piano dei conti è strutturato in modo da rispecchiare la realtà operativa dell’azienda, i report finanziari risultano più chiari e leggibili per tutti gli interlocutori, interni ed esterni. Gli stakeholder – siano essi investitori, istituti di credito, revisori contabili o fornitori – tendono a considerare con maggiore fiducia un’azienda che dimostra di avere un sistema contabile solido e trasparente.

Un aspetto spesso sottovalutato è l’effetto positivo di una buona organizzazione contabile sul rating dell’azienda. Le società di rating e le banche valutano non solo gli indicatori di bilancio, ma anche la qualità e l’affidabilità del reporting finanziario. Un piano dei conti ben definito e aderente alle best practices facilita la lettura del bilancio, riduce il rischio di errori o incongruenze e migliora la percezione di affidabilità dell’impresa.

Un altro aspetto cruciale è l’impatto che un piano dei conti ben organizzato ha sulla costruzione del piano industriale. Quando i dati contabili sono chiari, coerenti e dettagliati fino al livello necessario per un’analisi approfondita, è possibile costruire proiezioni economico-finanziarie più realistiche e fondate su basi solide. Ciò consente di definire obiettivi strategici più precisi e di monitorarne l’attuazione con strumenti di controllo di gestione efficaci.

Ad esempio, un’impresa che voglia avviare un piano di espansione ha bisogno di stimare con precisione i costi associati ai nuovi investimenti, le marginalità attese e i ritorni sugli investimenti. Se i dati contabili di partenza sono ben strutturati, le simulazioni finanziarie risulteranno più attendibili, riducendo il rischio di scelte errate basate su informazioni approssimative o incomplete.

La corretta organizzazione del piano dei conti, con un particolare focus sulla precisione e coerenza dei sottoconti di terzo livello, rappresenta un elemento chiave per un controllo di gestione efficace e per il miglioramento della trasparenza aziendale. Questo, a sua volta, incide positivamente sulla credibilità dell’impresa agli occhi di banche, investitori e altri stakeholder, contribuendo a migliorare il rating aziendale e facilitando l’accesso a finanziamenti e opportunità di crescita. Implementare queste best practices non è solo una questione di ordine amministrativo, ma un vero e proprio investimento strategico per il futuro dell’azienda.

Bilanciamento tra utili e fiscalità

Il bilanciamento tra giusti utili e tassazione è cruciale per valutare la salute finanziaria di una piccola e media impresa (PMI). Ecco alcuni aspetti chiave da considerare.

Profitto Netto: Il profitto netto è un indicatore fondamentale della capacità di un’impresa di generare reddito oltre a coprire tutte le sue spese, inclusi i costi variabili e fissi e le tasse. Un profitto netto consistente e in crescita nel tempo è spesso segno di una gestione aziendale efficace.

Tassazione: Le PMI devono ottimizzare la loro struttura fiscale per minimizzare il carico fiscale legale, massimizzando così gli utili disponibili per reinvestimenti e distribuzioni agli azionisti. Le strategie possono includere l’utilizzo di deduzioni fiscali, crediti e incentivazioni locali per le imprese.

Margine Operativo e Margine Netto: Il margine operativo mostra quanto un’azienda guadagna prima di interessi e tasse (EBIT) rispetto alle vendite totali. Il margine netto, d’altra parte, indica quanto un’azienda guadagna dopo aver pagato tasse e interessi rispetto alle vendite totali. PMI con margini consistentemente alti tendono a essere più stabili e in salute.

Flussi di Cassa Operativi: Un’altra misura critica della salute di una PMI è la generazione di flussi di cassa dai suoi operativi. La capacità di generare cassa in modo consistente è essenziale per il sostentamento delle operazioni quotidiane, senza dipendere eccessivamente dal debito.

Struttura del Capitale: Le PMI sane mantengono un equilibrio sostenibile tra debito e capitale proprio. Un alto livello di debito può erodere la redditività a causa degli interessi passivi e aumentare il rischio finanziario.

Sostenibilità e Crescita a Lungo Termine: Le decisioni aziendali dovrebbero mirare non solo a massimizzare gli utili nel breve termine ma anche a garantire la crescita e la sostenibilità a lungo termine. Investire in innovazione, sviluppo del personale, e tecnologie può aiutare a mantenere l’azienda competitiva.

Conformità Regolatoria e Fiscale: Una PMI in salute mantiene una rigorosa aderenza alle leggi e regolamenti, compresa la conformità fiscale. La trasparenza e la correttezza fiscale non solo evitano problemi legali ma costruiscono anche fiducia con stakeholder e istituzioni finanziarie.

Una PMI in salute mostra un equilibrio tra una gestione efficace degli utili e una gestione ottimale del carico fiscale, mantenendo allo stesso tempo un’attenzione strategica sulla crescita sostenibile e la conformità normativa. Analizzare questi aspetti può fornire un quadro chiaro della stabilità finanziaria e delle prospettive di un’azienda.

Mortificare gli utili per pagare meno tasse può sembrare una strategia vantaggiosa nel breve termine, ma presenta diversi rischi e conseguenze negative che possono impattare la salute finanziaria e la credibilità di una piccola e media impresa (PMI) nel lungo termine. Ecco alcuni motivi per cui questa pratica può essere pericolosa.

Limitazione della Capacità di Crescita: Ridurre artificialmente gli utili limita la quantità di capitale disponibile per reinvestimenti nell’impresa. Questo può significare minori fondi per ricerca e sviluppo, espansione delle operazioni, miglioramento delle infrastrutture o assunzione di personale qualificato. A lungo termine, questo può ridurre la competitività e la capacità dell’azienda di adattarsi ai cambiamenti del mercato.

Accesso al Credito Compromesso: Le banche e altri finanziatori esaminano i rendiconti finanziari delle imprese per valutare la loro salute finanziaria prima di concedere prestiti o linee di credito. Utili più bassi possono tradursi in una minore capacità di ottenere finanziamenti esterni, poiché l’azienda appare meno redditizia e quindi più rischiosa da finanziare e sicuramente un costo del denaro sensibilmente maggiore, fattore che incide spesso più del supposto “risparmio” fiscale.

Valutazione Aziendale Ridotta: Gli investitori valutano le prospettive di un’azienda basandosi sui suoi utili tra altri fattori. Se gli utili sono sistematicamente ridotti, l’azienda può essere valutata meno attraente per gli investimenti, riducendo così la possibilità di attirare capitali esterni o di valutare positivamente l’azienda in una vendita o fusione.

Rischi Legali e di Conformità: Se la mortificazione degli utili implica pratiche contabili discutibili o manipolazione dei libri contabili, l’azienda può incorrere in rischi legali significativi. Questo include sanzioni, multe, e danni alla reputazione che possono derivare da ispezioni fiscali e altri controlli regolatori.

Danno alla Reputazione: La percezione di integrità e affidabilità di un’azienda è cruciale per stabilire relazioni positive con clienti, fornitori e partner. Pratiche finanziarie percepite come ingannevoli o non etiche possono danneggiare la reputazione dell’azienda, influenzando negativamente le relazioni d’affari e la fedeltà dei clienti.

Impatto sui Dipendenti e la Cultura Aziendale: Una gestione finanziaria percepita come impropria o a corto termine può demotivare i dipendenti e influenzare negativamente la cultura aziendale. Questo può portare a una diminuzione della produttività e a difficoltà nel mantenere o attrarre talenti.

Mortificare gli utili per ridurre la tassazione può avere impatti negativi significativi sulla capacità di una PMI di crescere, ottenere finanziamenti, e mantenere una buona reputazione nel lungo termine. È quindi consigliabile per le imprese perseguire strategie di crescita sostenibili e conformi alla legge per garantire la loro salute e stabilità finanziaria a lungo termine.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

17/04/2024