La Rivincita delle PMI: come il Crowdfunding sta riscrivendo le regole della Finanza

Negli ultimi anni, il sistema di finanziamento delle imprese ha subito una trasformazione silenziosa ma radicale, spinta da una combinazione di evoluzioni tecnologiche, nuovi bisogni imprenditoriali e cambiamenti nei comportamenti degli investitori. In questo panorama in mutamento, la quotazione in Borsa, un tempo vetta ambita e traguardo simbolico dell’impresa affermata, appare oggi sempre più come un retaggio del passato, affaticata da costi proibitivi e da una macchina burocratica pesante e dispersiva. In parallelo, si assiste a una progressiva ascesa dell’equity crowdfunding, divenuto strumento privilegiato per una fascia crescente di piccole e medie imprese italiane desiderose di crescere senza perdere controllo e visione.

Nel 2023 si sono registrate 36 nuove quotazioni in Italia, di cui 4 su Euronext Milan, il segmento principale, e 32 su Euronext Growth Milan, la piattaforma dedicata alle PMI. La raccolta complessiva ammontava a circa 1,56 miliardi di euro. Tuttavia, nel 2024, il numero di IPO è sceso drasticamente a 19, segnalando un calo sostanziale, sia in termini numerici che di appetito verso questa modalità di accesso al capitale. Una contrazione che non sembra dovuta soltanto alla congiuntura macroeconomica, ma a un fenomeno più strutturale e profondo.

Contemporaneamente, l’equity crowdfunding ha registrato segnali di dinamismo significativi. Tra luglio 2023 e luglio 2024, in Italia, le campagne di raccolta hanno totalizzato oltre 106 milioni di euro, con una raccolta media per singola iniziativa salita a 593.000 euro, in netto aumento rispetto ai 444.000 euro del 2023. Numeri che testimoniano come sempre più imprenditori stiano optando per soluzioni agili, accessibili e maggiormente compatibili con la natura stessa delle PMI italiane: snelle, innovative, radicate nel territorio ma ambiziose sul fronte della crescita.

La divergenza tra questi due mondi è resa ancora più marcata se si guarda al confronto sui costi. Avviare una quotazione in Borsa implica sostenere spese molto elevate: dai consulenti legali agli studi notarili, dai revisori indipendenti agli advisor finanziari, senza dimenticare la redazione del prospetto informativo e le spese di marketing e comunicazione, il conto finale può facilmente raggiungere il 10-12% del capitale raccolto. Un onere che grava interamente sulla società emittente e che, spesso, deve essere sostenuto in larga parte prima ancora del successo dell’operazione. Al contrario, nel crowdfunding, i costi sono contenuti e direttamente proporzionali alla raccolta: le principali piattaforme italiane applicano commissioni tra il 5% e l’8%, talvolta comprensive anche dei servizi di consulenza e supporto.

Ma la questione economica è solo una parte del problema. La struttura stessa delle società quotate impone un regime di trasparenza e controllo che, per molte PMI, si trasforma in un fardello quotidiano. Obblighi di pubblicazione delle semestrali, aggiornamenti continui al mercato, compliance ai codici di corporate governance e adempimenti ESG diventano attività centrali per l’amministrazione e la direzione finanziaria. Un impegno che toglie tempo, risorse e concentrazione dalla pianificazione strategica, inducendo spesso le imprese a ragionare in ottica trimestrale piuttosto che a medio-lungo termine. La Borsa, più che un volano per lo sviluppo, si trasforma così in una gabbia dorata, nella quale la gestione risponde più alle esigenze burocratiche e agli equilibri politici degli investitori istituzionali che alla visione autentica dell’imprenditore.

In netta controtendenza, il crowdfunding offre una via alternativa che coniuga accesso ai capitali con libertà gestionale. I capitali raccolti arrivano da una platea di investitori diffusi, organizzati spesso attraverso veicoli fiduciari che non interferiscono nella governance dell’impresa. Ciò permette agli imprenditori di conservare intatta la propria autonomia decisionale, senza dover negoziare ogni mossa con fondi di investimento o rappresentanti in consiglio d’amministrazione. La relazione che si crea tra impresa e investitore è più simile a un patto fiduciario che a un contratto vincolante: si fonda sulla fiducia, sulla visione condivisa e sul senso di partecipazione al successo di un progetto comune.

Questa transizione non è solo tecnica o finanziaria, ma anche culturale. La finanza tradizionale, centralizzata, opaca e strutturalmente orientata ai grandi numeri, mostra oggi tutti i suoi limiti nel confrontarsi con un’economia che si muove su altri piani: più rapidi, più digitali, più inclusivi. Il crowdfunding, e più in generale l’ecosistema fintech, restituisce al risparmio privato il suo ruolo attivo, disintermediando le strutture bancarie e offrendo strumenti di investimento accessibili, trasparenti e coerenti con le logiche della nuova imprenditorialità. È un cambiamento di paradigma, che ridefinisce il concetto stesso di finanza: da strumento speculativo a leva di sviluppo partecipato.

Se non vi sarà una riforma profonda, non solo normativa ma anche culturale, il rischio è che le Borse, e con esse l’intero impianto della finanza istituzionale, continuino a scivolare in una decadenza silenziosa ma inesorabile. Le PMI, che costituiscono la spina dorsale del sistema economico italiano, non possono permettersi di essere frenate da apparati pesanti e obsoleti. Chiedono soluzioni agili, trasparenti, efficienti. E il mercato, quando non trova risposte nei canali ufficiali, se le costruisce da sé.

Noi siamo pronti e operativi, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

06/05/2025

PMI e Finanza Straordinaria

Negli ultimi anni, il concetto di finanza straordinaria ha assunto una centralità sempre più marcata nelle strategie di sviluppo delle PMI. Di fronte a un credito bancario tradizionale sempre più selettivo e oneroso, molte imprese hanno cominciato a esplorare soluzioni alternative per sostenere la crescita, migliorare la liquidità o ristrutturare il proprio debito. Gli strumenti a disposizione sono molteplici, ciascuno con caratteristiche proprie, vantaggi e limiti che vanno compresi a fondo per poterne fare un uso realmente efficace.

Il crowdfunding, in particolare, si è affermato come uno degli strumenti più accessibili, diffondendosi sia nella sua forma equity sia in quella lending. Nel primo caso, attraverso piattaforme online, le imprese aprono il proprio capitale sociale a una moltitudine di investitori, raccogliendo risorse fresche senza generare nuovo debito. Questo permette di rafforzare la struttura patrimoniale e migliorare l’immagine creditizia, ma richiede la disponibilità ad accettare una certa diluizione della proprietà aziendale, con tutti i riflessi anche in termini di governance e comunicazione verso nuovi soci. Nel caso del lending crowdfunding, invece, l’impresa ottiene finanziamenti sotto forma di prestito da parte di una pluralità di investitori, mantenendo intatto il controllo societario ma assumendosi l’onere della restituzione del capitale con gli interessi pattuiti. Il vantaggio principale risiede nella rapidità dell’operazione e nella possibilità di costruire un piano di rimborso più flessibile rispetto a quello bancario, anche se i tassi di interesse possono risultare più elevati, soprattutto in funzione del rischio percepito dagli investitori.

Accanto al crowdfunding, si è sviluppato il mercato della cessione dei crediti commerciali attraverso piattaforme digitali di invoice trading. Questo strumento consente alle imprese di cedere singole fatture a investitori o operatori specializzati, ottenendo immediatamente liquidità senza dover attendere i tempi di pagamento concordati con i clienti. La grande forza di questa soluzione è la possibilità di intervenire in modo selettivo su specifici crediti, senza dover vincolare l’intero portafoglio. Tuttavia, la valutazione del credito ceduto e il profilo di rischio del cliente possono influenzare significativamente il prezzo di cessione, con una riduzione del valore nominale della fattura che, in alcune situazioni, può risultare non trascurabile.

Il reverse factoring rappresenta un’altra modalità evoluta di gestione del capitale circolante. A differenza del factoring tradizionale, è il cliente finale – generalmente di grandi dimensioni – a coinvolgere un operatore finanziario per anticipare i pagamenti ai suoi fornitori. Per le PMI fornitrici si tratta di un’opportunità importante: si ottiene liquidità immediata, si riducono i tempi di incasso e si migliora la posizione finanziaria, spesso a condizioni più favorevoli rispetto al credito bancario. Il rovescio della medaglia è che il reverse factoring è strettamente legato alla solidità e alla volontà del cliente capofiliera; se quest’ultimo dovesse modificare strategia o ridimensionare il programma, il fornitore potrebbe ritrovarsi improvvisamente senza accesso a questa forma di liquidità.

Tra gli strumenti più strutturati e sofisticati si collocano infine i minibond. Attraverso l’emissione di questi titoli di debito, le PMI possono raccogliere fondi presso investitori istituzionali per finanziare progetti di crescita, investimenti strategici o operazioni straordinarie. I minibond offrono il vantaggio di ottenere importi significativi su orizzonti temporali medio-lunghi, spesso con modalità di rimborso flessibili. Al contempo, richiedono una struttura aziendale adeguata a sostenere il peso di un’operazione finanziaria complessa: piani industriali solidi, bilanci certificati, sistemi di controllo interno robusti e una capacità dimostrata di generare cassa sufficiente per onorare il servizio del debito. Il costo di emissione e gestione non è trascurabile e l’accesso a questi strumenti è di fatto riservato alle imprese che presentano un profilo economico-finanziario sufficientemente sano e trasparente.

Nonostante la varietà di soluzioni disponibili, nessuno di questi strumenti può essere considerato la “formula magica” per tutte le imprese. Ogni opzione richiede una valutazione attenta e personalizzata in base alle caratteristiche specifiche dell’azienda, ai suoi obiettivi di crescita, alla struttura patrimoniale e alla capacità di sostenere l’impegno finanziario nel tempo. L’errore più grave sarebbe quello di scegliere uno strumento di finanza straordinaria esclusivamente sulla base della rapidità di accesso o della moda del momento, senza una vera analisi strategica delle implicazioni operative, finanziarie e patrimoniali.

In un mercato in rapida evoluzione e sempre più competitivo, le imprese che sapranno approcciare questi strumenti con metodo, competenza e visione potranno trasformare la finanza straordinaria da semplice necessità contingente a leva di crescita strutturale. Una finanza non più subita, ma governata con intelligenza e consapevolezza, capace di diventare un alleato prezioso nella costruzione di un futuro solido e sostenibile.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

23/04/2025