La deindustrializzazione: rischi, opportunità e strategie per le PMI

Negli ultimi vent’anni, l’Europa ha progressivamente assistito a un processo di deindustrializzazione che si è rivelato particolarmente accentuato in alcune aree, tra cui l’Italia. Questo fenomeno, spesso percepito solo come una perdita del settore manifatturiero, è in realtà una trasformazione strutturale profonda del tessuto economico. Se da un lato si riduce la produzione industriale in senso stretto, dall’altro emergono nuove configurazioni produttive, tecnologiche e organizzative. In questo scenario complesso, le piccole e medie imprese italiane si trovano di fronte a sfide significative ma anche a inedite opportunità di rilancio.

Secondo i dati di Eurostat, la quota dell’industria manifatturiera sul PIL dell’Unione Europea è scesa dal 19,2% nel 2000 al 14,9% nel 2023. L’Italia, una volta orgogliosamente parte del cosiddetto “cuore manifatturiero d’Europa”, ha visto una contrazione ancora più evidente: nello stesso periodo, il peso del manifatturiero sul PIL nazionale è passato dal 20,5% al 15,4%.

Ancora più eloquenti sono i dati sull’occupazione: in Italia, il numero di addetti nel settore industriale è sceso da circa 5,6 milioni nel 2000 a meno di 4,2 milioni nel 2023. Questo significa che oltre un milione di posti di lavoro nel settore sono andati persi, spesso non sostituiti da impieghi equivalenti in termini di competenze e redditività.

La deindustrializzazione non è tuttavia un destino ineluttabile, né un fenomeno univoco. Essa è il risultato di più dinamiche: delocalizzazione produttiva verso paesi a basso costo, automazione e digitalizzazione dei processi, crisi strutturali di alcuni comparti e, non da ultimo, l’assenza di una visione industriale comune in ambito europeo.

Per le PMI italiane, questo contesto implica rischi specifici e sistemici. Innanzitutto, la perdita di capacità produttiva comporta una minore possibilità di presidiare le filiere strategiche, con un effetto domino su competitività, innovazione e potere contrattuale. Le imprese rischiano di trasformarsi da produttori a semplici assemblatori o, peggio, distributori di tecnologie altrui.

In secondo luogo, l’erosione del know-how manifatturiero, specie nelle aree periferiche o non metropolitane, minaccia il patrimonio intangibile del made in Italy: la maestria artigianale, l’ingegneria diffusa, l’adattabilità produttiva. A ciò si aggiunge il rischio della desertificazione industriale in interi distretti un tempo vitali, con conseguente impatto sociale e demografico.

Infine, l’accesso al credito e agli investimenti in ricerca diventa più difficile in assenza di una prospettiva di crescita industriale, aggravando la fragilità finanziaria di molte PMI.

Ma accanto ai rischi, la deindustrializzazione può aprire spazi inattesi. La riconfigurazione dell’economia europea verso modelli più sostenibili e digitali offre una finestra di opportunità per quelle PMI che sapranno adattarsi.

L’industria 4.0, ad esempio, consente alle piccole imprese di diventare “micro-fabbriche intelligenti”, capaci di produrre su commessa, in tempi rapidi, e con elevata personalizzazione. Le tecnologie digitali – stampa 3D, IoT, cloud manufacturing – democratizzano l’accesso alla manifattura avanzata e consentono di partecipare a filiere globali anche con risorse limitate.

La transizione ecologica è un altro ambito promettente: l’UE investirà circa 1.000 miliardi di euro entro il 2030 nel Green Deal europeo. Le PMI che forniscono soluzioni per l’efficienza energetica, il riciclo, la mobilità sostenibile o i materiali innovativi avranno accesso a nuovi mercati e a incentivi consistenti.

Inoltre, la ristrutturazione delle catene di fornitura post-pandemia sta favorendo il fenomeno del “reshoring”: la rilocalizzazione di attività produttive in Europa. Questo processo apre spazi per la manifattura locale ad alto valore aggiunto e qualità certificata.

In questo scenario di cambiamento, non è più tempo per restare fermi ad attendere. Le piccole e medie imprese italiane, eredi di una tradizione imprenditoriale fondata sulla capacità di adattamento e sulla creatività produttiva, sono oggi chiamate a compiere scelte coraggiose, ma anche profondamente radicate nel proprio DNA.

Il primo passo è un cambio di sguardo: la digitalizzazione non deve più essere percepita come un ostacolo tecnico o come un territorio riservato alle grandi multinazionali. Al contrario, per molte PMI può rappresentare la chiave per recuperare competitività e agilità. In piccoli laboratori meccanici o nelle aziende artigiane del tessile, l’introduzione di sensori intelligenti, software gestionali evoluti, tecnologie cloud e strumenti di automazione può aprire la strada a processi produttivi snelli, efficienti e persino personalizzati su scala. È una rivoluzione silenziosa, fatta di piccoli passi ma di grande impatto, che permette alle imprese di continuare a lavorare “su misura”, come da tradizione, ma con gli strumenti della contemporaneità.

Contemporaneamente, sta nascendo una nuova consapevolezza: nessuna impresa è davvero sola. La riscoperta delle reti territoriali, delle filiere locali, delle collaborazioni tra aziende, enti di ricerca, istituti tecnici e professionisti è sempre più centrale. Laddove un tempo i distretti industriali si basavano sulla prossimità fisica e sulle relazioni di fiducia, oggi possono rinascere grazie a piattaforme digitali, consorzi, accordi di co-produzione e filiere trasversali che uniscono competenze complementari. Il valore non è più soltanto nella produzione in sé, ma nella capacità di costruire una rete che distribuisce conoscenza, flessibilità e resilienza.

Anche la finanza deve diventare un alleato e non più un fattore di incertezza. Non si tratta soltanto di cercare credito, ma di saperlo orientare verso progetti solidi, innovativi e sostenibili. I tempi stanno cambiando: oltre al tradizionale sistema bancario, si stanno affermando canali nuovi come i minibond, le piattaforme di crowdfunding, i fondi europei, le opportunità offerte dai piani di investimento in transizione digitale e green. Per accedervi, è essenziale che l’impresa sappia raccontarsi con un linguaggio nuovo, fatto di business plan credibili, visioni industriali coerenti, piani di impatto ambientale e sociale ben delineati. In questo campo, la differenza la fa la preparazione.

Ma ogni trasformazione esterna ha bisogno di una corrispondente trasformazione interna. È il momento per molti imprenditori di investire non solo in macchinari, ma nella crescita delle persone. La formazione delle maestranze, l’aggiornamento delle competenze, l’apertura a nuovi modelli organizzativi e manageriali possono fare la differenza. In un contesto sempre più interconnesso, è l’intelligenza collettiva – fatta di persone capaci, curiose e motivate – il vero asset competitivo di un’impresa.

Infine, un orizzonte che fino a pochi anni fa sembrava secondario, oggi si impone come una direttrice strategica: la sostenibilità. Le PMI che integrano nel loro modello di business criteri ambientali, sociali e di buona governance – i noti ESG – non solo contribuiscono a un futuro più equo e vivibile, ma si posizionano come partner credibili in filiere internazionali, come fornitori preferiti per grandi aziende, come destinatari di capitali sempre più attenti all’impatto. Anche la piccola azienda familiare, se capace di produrre con materiali riciclati, ridurre le emissioni, coinvolgere il territorio, può diventare una storia di successo a livello europeo.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

28/05/2025

Abbraccia il vento del cambiamento

Nel cuore delle serre protette, le piante si innalzano rapide verso la luce, incoraggiate da un ambiente costante, privo di scosse, dove il sole filtra in modo calibrato e l’umidità è sempre sotto controllo. I loro fusti si slanciano con eleganza, sottili, spesso flessuosi. Ma basta un evento imprevisto, una corrente d’aria, uno squilibrio nel terreno, un cambiamento improvviso di temperatura, perché quei rami, cresciuti senza resistenza, inizino a piegarsi, spezzarsi, cedere sotto un peso minimo. È allora che emerge la differenza tra crescita e solidità.

All’esterno, nel mondo esposto, gli alberi modellano il proprio carattere nel confronto costante con il vento. Le raffiche li fanno ondeggiare, li scuotono, talvolta li feriscono. Ma quell’agitazione non è mai vana. I tessuti si ispessiscono, le fibre si rafforzano, le radici affondano più a fondo. La pianta non diventa semplicemente più alta, diventa stabile. Non solo vive: sopravvive.

In tempi di mercati incerti, l’economia non è diversa. Le piccole e medie imprese che da tempo attraversano condizioni avverse, mutamenti normativi, variazioni improvvise nella domanda, pressioni concorrenziali, hanno sviluppato una forma di intelligenza reattiva. Hanno imparato a contenere i costi senza impoverire il valore, a diversificare senza disperdersi, a leggere i segnali deboli di un cambiamento prima che diventi uno squilibrio. La turbolenza, per loro, non è uno scandalo: è un linguaggio.

Accanto a queste, altre realtà cresciute in nicchie protette, sostenute da mercati stabili o da rapporti privilegiati, si sono sviluppate in altezza più che in profondità. Hanno moltiplicato le filiali, ampliato i margini, automatizzato i processi. Ma senza che si forgiassero meccanismi interni di adattamento, senza l’abitudine a domande che non hanno risposta immediata. Quando la pressione arriva, quando i costi salgono o la domanda cambia volto, quella snellezza iniziale si rivela fragilità strutturale.

Nel silenzio delle serre o nella furia dei venti, non è la crescita in sé a fare la differenza, ma il modo in cui essa si combina con la resistenza. Così le imprese che attraversano le turbolenze non sempre emergono più grandi, ma spesso ne escono più pronte. Pronte non solo a resistere, ma a rigenerarsi nel mutamento.

Il vento, in fondo, non è nemico dell’albero. È parte della sua architettura. E forse lo stesso vale per il mercato: non c’è crisi che non contenga, per chi è preparato, l’inizio di una nuova forma di solidità.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

15/04/2025

Mentre si rimanda la vita passa

Dum differtur, vita transcurrit. Mentre si rimanda, la vita passa. E con essa, le occasioni, le finestre di cambiamento, le possibilità di evolvere prima che la realtà lo imponga con brutalità.

Nella vita d’impresa, il tempo ha una doppia natura: è risorsa e tiranno. Ogni giorno porta con sé una moltitudine di urgenze che reclamano attenzione immediata — scadenze da rispettare, clienti da accontentare, imprevisti da contenere. Ma nel rincorrere ciò che brucia, ciò che è vicino e pressante, spesso si sacrifica ciò che è importante, ma non urgente: l’innovazione, la pianificazione, la trasformazione. È lì che si annida la vera minaccia. Non nei problemi di oggi, ma nel ritardo sistematico con cui si affrontano quelli di domani.

Molti imprenditori si riconoscono in questa trappola: sapere cosa andrebbe fatto, ma non avere mai il “momento giusto” per farlo. Eppure la storia insegna, e lo fa in modo inequivocabile. Kodak sapeva che il futuro era digitale, eppure rimandò. Blockbuster intuì il cambiamento, ma non lo abbracciò. Nokia aveva le risorse per guidare l’era degli smartphone, ma esitò. Yahoo vide passare sotto il naso Google e poi Facebook, ma non seppe scegliere. In ogni caso, la procrastinazione non fu un errore di valutazione: fu una scelta, spesso inconsapevole, di rinviare ciò che faceva paura affrontare subito.

Chi guida una piccola o media impresa oggi si trova in un contesto simile, sebbene meno eclatante. L’evoluzione digitale, l’automazione, la sostenibilità, il ripensamento dei modelli organizzativi… sono temi noti, discussi, perfino condivisi a parole. Ma quanti li affrontano davvero con la priorità che meritano? Quanti trovano il tempo, lo spazio mentale e strategico, per dire: “Lo faccio ora, prima che sia troppo tardi”? Pochi. Troppo pochi.

Eppure, l’imprenditore che sa sottrarsi al fascino tossico dell’urgenza e riorientare la bussola sulle vere priorità costruisce un vantaggio solido, duraturo. Non è una questione di tecnologia o di budget: è una questione di mentalità. Di lucidità. Di coraggio.

Il cambiamento, infatti, non aspetta che tu sia pronto. E il tempo che immagini di risparmiare rinviando, lo pagherai con interessi altissimi nel futuro. L’abitudine a rimandare — che si maschera spesso da prudenza, cautela o gestione oculata — è, in realtà, una forma sottile di autodistruzione. Non perché tu scelga il fallimento, ma perché gli lasci campo libero mentre sei occupato altrove.

Ciò che distingue chi cresce da chi resiste — e poi lentamente scompare — non è la dimensione, né il settore, né la fortuna. È la capacità di agire in tempo. Non perfettamente, ma in tempo. Di scegliere oggi quello che tutti sceglieranno domani, quando sarà troppo tardi per farne un vantaggio.

Il futuro non è mai un evento lontano: è un’onda che si forma ora, sotto i tuoi piedi. Decidere di affrontarla oggi, anche con strumenti imperfetti, è mille volte meglio che aspettare che ti travolga. Perché, come ammoniva Seneca, dum differtur, vita transcurrit. E nel mondo dell’impresa, la vita che passa è il mercato che cambia, il cliente che migra, la concorrenza che accelera. È il tempo che non ti aspetta.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

09/04/2025

Azienda e Umanesimo: la nuova leadership

La partecipazione all’incontro “Filosofia, Impresa e Innovazione” organizzato dall’Università di Bergamo è stata un’occasione stimolante per riflettere su un cambiamento già in atto ma ancora sottovalutato nei nostri contesti europei: l’integrazione del pensiero filosofico all’interno delle strutture aziendali, non come ornamento culturale, ma come strumento essenziale di gestione e visione strategica.

La figura del Chief Philosophy Officer (CPO), già presente in molte delle principali aziende statunitensi, rappresenta una risposta evolutiva a una crisi più profonda: quella del pensiero. In un’epoca in cui i processi decisionali sono spesso guidati da metriche immediate, algoritmi e analisi riduzioniste, la presenza del CPO vuole rimettere al centro il pensiero critico, sistemico, laterale. L’intelligenza analitica da sola non basta più: il mondo contemporaneo richiede flessibilità mentaleapertura alla complessità, e la capacità di vedere connessioni là dove altri vedono compartimenti stagni. Non è un caso che, negli Stati Uniti, la laurea in filosofia sia tra le più ricercate nel mondo aziendale: il pensiero filosofico non insegna cosa pensare, ma come pensare. Ed è proprio questa capacità che diventa fondamentale quando si devono affrontare l’ambiguità, l’incertezza, la trasformazione.

Lo spin-off N.E.X.T., diretto dalla D.ssa Valeria Trabattoni, si inserisce perfettamente in questa prospettiva, proponendo un’innovazione culturale e formativa che potrebbe rivelarsi determinante per il futuro del management e dell’organizzazione aziendale. L’idea che l’impresa non sia solo luogo di produzione e profitto, ma spazio di senso, comunità, trasformazione sociale, è il cuore di una visione umanistica dell’economia, ben lontana dalla logica ultra-capitalistica che oggi mostra tutti i suoi limiti sistemici ed etici.

È fondamentale oggi che manager e imprenditori si impegnino in un percorso di consapevolezza, che li aiuti ad uscire da visioni meccanicistiche e lineari dell’azienda e della società. Questa transizione non può essere solo strategica o operativa: deve essere interiore, culturale, e persino spirituale. La riduzione dell’uomo a produttore e consumatore ha creato squilibri profondi: burnout, disconnessione sociale, perdita di senso. Serve un riposizionamento del capitale, che non può essere visto solo come fine e mezzo unico dell’azione economica, ma come strumento al servizio del bene comune. Le imprese devono tornare a essere motore di una società sana, sostenibile e fondata sulla dignità del lavoro.

Da questa prospettiva nasce una convinzione forte: chi detiene potere o assume ruoli di leadership ha il dovere etico di intraprendere un percorso umanistico, che non si limiti alla conoscenza teorica, ma includa una trasformazione personale. Non è possibile oggi guidare un’organizzazione in modo autentico senza prima aver esplorato la propria interiorità, senza aver riconosciuto i propri bias cognitivi, senza aver fatto i conti con i meccanismi di proiezione e le reazioni automatiche che spesso derivano da ferite psico-emotive non elaborate. Il vero leader non è colui che sa tutto, ma colui che è disposto a mettere in discussione la propria mappa mentale, a riconoscere i limiti della propria prospettiva, e soprattutto a coltivare empatia e presenza.

Questo cammino porta naturalmente a una dimensione transpersonale, in cui il soggetto supera la centralità del proprio ego e inizia a pensare e agire in modo sistemico, integrato, interconnesso. Solo chi ha sperimentato questa espansione della coscienza può veramente abbracciare il pensiero lateralel’intelligenza collettiva, e l’etica della responsabilità che oggi sono richieste per affrontare le sfide globali, ambientali, sociali e tecnologiche.

In sintesi, la figura del CPO e iniziative come N.E.X.T. ci indicano una direzione chiara: il futuro dell’impresa passa per la filosofia, l’umanesimo, la consapevolezza. Non si tratta di aggiungere un “tocco etico” a processi già esistenti, ma di trasformare alla radice il modo in cui pensiamo l’economia, il lavoro, il potere. In questo senso, ogni leader è chiamato a diventare prima di tutto filosofo della propria esperienza, e solo in questo modo potrà contribuire a costruire organizzazioni autenticamente innovative, sostenibili e al servizio della vita.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

02/04/2025

Chi davvero vuole trova la strada

Chi davvero vuole, trova la strada; chi si aggrappa alle scuse, trova negli ostacoli un alibi.

Potrà sembrare un’affermazione banale o retorica, ma la capacità di non arrendersi di fronte alle difficoltà e di non fermarsi al terzo “no” è una qualità imprenditoriale fondamentale per il successo a lungo termine. Certo, non basta solo la determinazione: servono molte altre competenze e caratteristiche, che si possono apprendere e sviluppare. Tuttavia, senza questa energia interiore, si rischia di essere come le rive sabbiose battute dalle onde: le difficoltà finiscono per travolgerci e cancellare ciò che abbiamo costruito. Per avere successo, bisogna essere solidi come la roccia e flessibili come l’acqua.

Questo principio non vale solo per l’imprenditoria, ma per la crescita personale e la resilienza in ogni ambito della vita. La capacità di superare gli ostacoli distingue chi raggiunge i propri obiettivi da chi si arrende alle prime difficoltà.

La metafora della roccia e dell’acqua è particolarmente efficace: la solidità permette di mantenere la direzione senza lasciarsi travolgere dagli imprevisti, mentre la flessibilità consente di adattarsi ai cambiamenti senza spezzarsi. Troppa rigidità può portare alla rottura sotto la pressione, mentre un’eccessiva morbidezza rischia di disperdere le energie senza risultati concreti.

In campo imprenditoriale, così come nella vita, il successo è spesso il risultato dell’equilibrio tra resilienza e capacità di apprendimento. Saper trasformare i fallimenti in lezioni preziose e avere la costanza di proseguire sono elementi chiave. Come diceva Thomas Edison:

“Molti dei fallimenti della vita sono di persone che non si resero conto di quanto fossero vicine al successo quando si arresero.”

Le difficoltà, spesso viste come ostacoli, possono essere invece occasioni per distinguersi, per trovare soluzioni innovative e per compiere quel salto di qualità che fa avanzare aziende e organizzazioni. Non si tratta solo di resistenza o determinazione, ma di visione: la capacità di guardare oltre il problema e scorgere nuove opportunità di miglioramento, innovazione ed efficienza.

Le situazioni critiche mettono alla prova, ma proprio in quei momenti emergono le intuizioni più brillanti. Le crisi evidenziano inefficienze, costringono a ripensare le strategie e aiutano a distinguere ciò che funziona davvero da ciò che deve essere cambiato. Chi sa leggere tra le righe non si limita a superare l’ostacolo, ma lo trasforma in un trampolino di crescita, apprendimento ed evoluzione.

Il mercato premia chi sa adattarsi e anticipare il cambiamento. Non sopravvive chi è più forte o più intelligente, ma chi è capace di restare flessibile, comprendere il contesto e trovare nuove strade. La continuità e il successo derivano proprio da questa mentalità: non fermarsi di fronte ai problemi, ma usarli come occasione per migliorarsi.

La capacità di trasformare le difficoltà in opportunità non è solo una questione di resilienza, ma anche di strategia e innovazione. Le aziende e le organizzazioni che vedono le crisi come occasioni per differenziarsi non solo sopravvivono ai momenti difficili, ma spesso ne escono più forti, consolidando il proprio vantaggio competitivo.

La storia dell’imprenditoria è ricca di esempi di aziende che, anziché lasciarsi schiacciare dalle difficoltà, hanno trovato in esse lo stimolo per reinventarsi. Netflix, nata come servizio di noleggio DVD, ha saputo anticipare il boom dello streaming, trasformandosi prima che il mercato la rendesse obsoleta. Amazon, inizialmente un negozio online di libri, ha sfruttato le sfide della logistica tradizionale per sviluppare una rete di distribuzione efficiente, oggi alla base del suo dominio globale.

Le aziende di successo non si limitano a resistere alle onde del cambiamento, le cavalcano, trasformando le difficoltà in slancio competitivo. Questa è la differenza tra chi subisce il cambiamento e chi lo guida.

E secondo voi, quali sono le caratteristiche chiave che permettono alle aziende di trasformare le difficoltà in opportunità?

Articolo di Marco Simontacchi

05/03/2025

Time management: una piaga per le PMI

Il time management è uno di quei concetti di cui tutti parlano, ma che pochi riescono davvero ad applicare. In teoria, sappiamo benissimo quanto sia importante organizzare il tempo in modo efficace per migliorare la produttività e ridurre lo stress. Eppure, nella realtà quotidiana, soprattutto nelle piccole e medie imprese, ci si trova sempre in affanno, rincorrendo scadenze, tamponando emergenze e affrontando le giornate con l’affanno di chi ha sempre troppo da fare e troppo poco tempo per farlo.

Le PMI soffrono particolarmente questa dinamica. Risorse limitate, ruoli spesso sovrapposti, la necessità di gestire ogni aspetto dell’attività: tutto questo crea un contesto in cui il tempo sembra sempre sfuggire di mano. I titolari e i manager si trovano coinvolti in mille questioni operative, passano da una riunione all’altra, rispondono a telefonate e mail senza soluzione di continuità, e alla fine della giornata si rendono conto di non aver dedicato neanche un minuto a ciò che davvero conta per il futuro dell’azienda.

Una delle trappole più comuni è quella dell’urgenza. Si tende a dare la priorità a ciò che scotta nel momento, lasciando in secondo piano attività più importanti ma meno immediate. Si vive nella convinzione che ogni problema debba essere affrontato subito, che ogni richiesta vada gestita nell’immediato, e così ci si ritrova sommersi da incombenze che riempiono la giornata senza lasciare spazio a una vera visione strategica.

Le e-mail, per esempio. Ogni notifica sembra una questione urgente, e appena ne arriva una, scatta l’istinto di aprirla e rispondere. Il problema è che queste continue interruzioni impediscono di concentrarsi su attività realmente produttive. Lo stesso accade con le riunioni: quante ore vengono spese in discussioni che potrebbero essere risolte con una semplice comunicazione più efficace? La verità è che molte delle cose che sembrano urgenti non lo sono affatto. Ma fino a quando si resta intrappolati in questo meccanismo, si continuerà a rincorrere il tempo senza mai sentirsi davvero padroni delle proprie giornate.

Un’altra grande perdita di tempo è l’attenzione eccessiva ai dettagli di poco conto. Succede spesso nelle PMI, dove titolari e manager tendono a voler tenere tutto sotto controllo. Il risultato? Ore intere spese su problemi operativi minori, mentre le questioni più strategiche vengono rimandate.

È facile cadere nella tentazione di occuparsi di tutto: il sito web ha un piccolo errore? Meglio mettersi subito a sistemarlo. Un cliente ha una richiesta fuori standard? Ci si ferma per gestirla direttamente. Una questione amministrativa richiede una firma? Ci si ritrova a perdere mezz’ora per risolverla. Ogni singola azione sembra giustificata, ma sommate insieme, queste attività frammentano la giornata e lasciano pochissimo spazio alle decisioni veramente importanti. Il problema è che questa continua immersione nel dettaglio dà l’illusione di essere produttivi, mentre in realtà si è solo occupati.

Non è facile cambiare abitudini, ma con qualche piccolo accorgimento si può iniziare a prendere in mano la propria gestione del tempo. La prima cosa da fare è distinguere tra ciò che è davvero importante e ciò che invece è solo urgente. Non tutto ciò che richiede attenzione immediata merita di essere una priorità. Bisognerebbe invece chiedersi: questa attività contribuirà davvero alla crescita dell’azienda? O è solo un’altra piccola emergenza che domani verrà dimenticata?

Un’altra strategia efficace è la pianificazione. Non basta fare una lista di cose da fare: bisogna decidere in anticipo quando e come affrontarle, assegnando loro il giusto peso. Se si inizia la giornata senza un piano chiaro, si finisce per essere risucchiati dalle contingenze.

Poi c’è il problema delle distrazioni. E-mail, notifiche, telefonate improvvise: tutto questo frammenta il tempo e abbassa la produttività. Spegnere le notifiche per qualche ora, dedicare blocchi di tempo specifici a determinati compiti e ridurre le riunioni inutili può fare una grande differenza.

Ma la vera svolta arriva quando si impara a delegare. Troppe volte nelle PMI si pensa che “se lo faccio io, lo faccio meglio e più in fretta”. È un errore enorme. Delegare non significa perdere il controllo, ma liberare tempo per concentrarsi su ciò che davvero conta. Inoltre, l’automazione può essere un grande alleato: oggi esistono strumenti digitali per gestire in maniera più efficiente contabilità, comunicazione, project management. Perché non sfruttarli?

Infine, serve un cambio di mentalità: il tempo dedicato alla pianificazione e all’organizzazione non è mai tempo perso. Anzi, è l’unico modo per smettere di essere sempre in affanno e iniziare finalmente a lavorare con lucidità.

Nelle PMI, la cattiva gestione del tempo è una delle principali cause di inefficienza e stress. Troppe aziende lavorano sempre in emergenza, senza mai fermarsi a pianificare in modo strategico. Ma continuare a inseguire urgenze e dettagli inutili porta solo a sprechi di energia e a un senso di frustrazione costante.

Il segreto sta nel cambiare approccio: smettere di essere reattivi e iniziare a essere proattivi. Smettere di confondere l’essere occupati con l’essere produttivi. E soprattutto, iniziare a vedere il tempo non come un nemico da rincorrere, ma come una risorsa preziosa da gestire con intelligenza. Solo così si potrà trasformarlo in un vero alleato per la crescita e il successo dell’azienda.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

04/02/2025

Errare humanum est: trasformare un errore in un’opportunità di fiducia

Nessuno è immune dagli errori, specialmente nel contesto lavorativo. Tuttavia, ciò che distingue un professionista eccellente da uno mediocre è il modo in cui affronta e gestisce un errore. Come dice il famoso adagio “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”, sbagliare può capitare, ma è la reazione all’errore che fa la differenza tra perdere un cliente e rafforzarne la fiducia.

Quando tutto va per il verso giusto, è facile ricevere elogi e apprezzamenti dai clienti. Tuttavia, il vero valore di un professionista o di un’azienda emerge quando qualcosa non funziona come previsto. I clienti non pretendono la perfezione, ma vogliono sapere che il loro fornitore è in grado di affrontare i problemi con competenza e prontezza. Una reazione efficace non solo riduce il disagio, ma può persino trasformare una situazione difficile in un’opportunità per rafforzare la relazione.

Di fronte a un errore, è naturale cercare di minimizzare l’accaduto o negare la responsabilità per proteggere la propria immagine. Ma questa strategia rischia di peggiorare le cose. Secondo uno studio della Harvard Business Review, il 37% dei clienti considera la trasparenza nella gestione dei problemi un fattore chiave per mantenere la fiducia. Negare un errore o cercare di sminuirlo può aumentare il malcontento, rendendo molto più difficile riconquistare la stima del cliente.

Affrontare un errore in modo efficace richiede innanzitutto sincerità. Ammettere l’errore con trasparenza non è solo un atto di onestà, ma un modo per creare empatia con il cliente e dimostrare consapevolezza. Una volta riconosciuto il problema, è essenziale capire l’impatto che ha avuto: analizzare le conseguenze permette di dimostrare attenzione e rispetto nei confronti del disagio arrecato.

Il passo successivo è offrire una soluzione tempestiva e concreta. Questo non significa soltanto risolvere il problema, ma farlo in modo rapido e professionale, trasmettendo un messaggio chiaro: si è impegnati a correggere l’errore e a garantire che non si ripeta. Infine, per trasformare l’intera esperienza in qualcosa di positivo, un piccolo gesto compensativo può fare una grande differenza. Che si tratti di uno sconto, un servizio aggiuntivo o un’altra forma di valore aggiunto, questi accorgimenti lasciano nel cliente un’impressione di cura e attenzione, mitigando l’effetto negativo dell’errore iniziale.

I dati parlano chiaro: secondo un report di Zendesk del 2022, l’89% dei clienti è disposto a dare una seconda possibilità a chi risolve in modo soddisfacente un errore. Inoltre, l’80% valuta positivamente un’azienda che offre una compensazione per il disagio subito, mentre il 70% afferma che una gestione proattiva dei problemi aumenta la fedeltà e la fiducia verso il brand.

Questi numeri evidenziano quanto sia cruciale affrontare gli errori con trasparenza e offrire soluzioni concrete. Un cliente soddisfatto della gestione di un problema è più incline a rimanere fedele e a raccomandare il servizio ad altri.

Gestire un errore con professionalità non è solo una questione di etica, ma anche una strategia vincente. Un cliente che percepisce impegno e attenzione nella risoluzione dei problemi può diventare un ambasciatore del marchio, contribuendo a rafforzarne la reputazione. In fondo, tutti sono bravi quando le cose vanno bene; è nelle difficoltà che si costruisce una vera credibilità.

In definitiva, imparare a trasformare gli errori in opportunità non solo aiuta a prevenire feedback negativi, ma rafforza anche la fiducia e la fedeltà dei clienti. E, in un mercato sempre più competitivo, queste qualità possono rappresentare la chiave per il successo.

Il difficile equilibrio della consulenza

Essere un temporary manager o un consulente implica spesso il compito delicato di sfidare il pensiero dominante di un imprenditore o di un management. Si tratta di un ruolo complesso, che richiede equilibrio tra l’assumere posizioni scomode e mantenere la relazione fiduciaria. Il rischio più grande? Diventare complici di un disastro per evitare di incrinare il rapporto, oppure, all’opposto, irrigidirsi al punto da compromettere la fiducia. In tutto questo, però, chi si limita a seguire gli schemi di pensiero del committente senza offrire un punto di vista critico rischia di essere una minaccia per la salute dell’azienda.

I bias cognitivi, come quello di conferma, sono una trappola pericolosa. È facile per imprenditori e manager cercare solo le informazioni che supportano le loro convinzioni, ignorando tutto ciò che le contraddice. Proprio qui entra in gioco il valore del consulente o del temporary manager: offrire una prospettiva esterna, libera da pregiudizi interni, capace di sfidare le convinzioni radicate. Ma come farlo senza creare fratture insanabili?

Innanzitutto, bisogna partire dai dati. Non c’è nulla di più efficace di un’analisi oggettiva e solida per aprire un dialogo. Inoltre, porre domande strategiche può essere un’arma potente: chiedere “Cosa accadrebbe se questa ipotesi fosse sbagliata?” o “Quali sono i rischi che stiamo sottovalutando?” non solo stimola la riflessione, ma coinvolge il management in un processo di esplorazione condivisa.

L’empatia è un altro elemento cruciale. Quando il consulente dimostra di comprendere le paure e le resistenze di chi ha di fronte, il confronto smette di essere percepito come una sfida e diventa un’opportunità. E qui entra in gioco anche la capacità di saper dosare i tempi: introdurre cambiamenti troppo radicali, troppo in fretta, può generare rigetto. A volte, un approccio graduale, che permetta di costruire fiducia passo dopo passo, è la scelta più saggia.

Ovviamente, ci sono momenti in cui non si può scendere a compromessi. Se il contesto o le decisioni rischiano di portare l’azienda al disastro, il consulente deve essere pronto a esporsi, anche correndo il rischio di incrinare il rapporto. La credibilità professionale e i valori etici devono sempre rimanere il faro guida: accettare di essere “complici” di un errore macroscopico può danneggiare non solo l’azienda, ma anche la propria reputazione.

Chi si limita a seguire passivamente gli schemi di pensiero del committente non sta facendo il suo lavoro. Non sta apportando valore, non sta proteggendo l’azienda dai rischi, e soprattutto non sta garantendo un reale contributo trasformativo. È solo un esecutore, privo di quella visione critica che fa la differenza.

Essere un temporary manager o un consulente significa quindi camminare su una linea sottile. Vuol dire essere specchi critici ma costruttivi, alleati del cambiamento ma mai complici dell’immobilismo. Vuol dire saper dire la verità, anche quando non è comoda, e farlo con il giusto mix di rispetto e fermezza. Alla fine, ciò che fa la differenza non è solo quello che si dice, ma come lo si dice. È questa la vera arte del consulente: trasformare visioni critiche in opportunità di crescita.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

19/12/24

L’ansia ammazza l’entusiasmo e addormenta i risultati

Questa affermazione coglie una verità importante sul legame tra emozioni e performance. L’ansia, intesa come uno stato di apprensione o preoccupazione eccessiva, può effettivamente avere un impatto negativo sull’entusiasmo e sui risultati.

L’entusiasmo è spesso alimentato da uno stato mentale positivo, caratterizzato da energia, fiducia e motivazione. L’ansia, al contrario, è uno stato di tensione che tende a focalizzare la mente su scenari negativi o incertezze, soffocando la spontaneità e la capacità di godere delle esperienze.

Quando l’ansia prende il sopravvento, può ridurre la capacità di provare entusiasmo per un progetto o un obiettivo, facendo sembrare anche le attività più interessanti come un peso. Dal punto di vista psicologico, l’ansia può interferire con la concentrazione e la chiarezza mentale.

Fisiologicamente, l’ansia attiva la risposta “lotta o fuga”, che può essere utile in situazioni di emergenza ma controproducente per attività che richiedono pensiero lucido e creativo. Questo stato di tensione prolungata può portare a stanchezza mentale e fisica, peggiorando la qualità delle performance e diminuendo i risultati.

L’ansia può creare un circolo vizioso: la paura del fallimento porta a procrastinare o evitare di affrontare compiti, il che a sua volta amplifica l’ansia e riduce le possibilità di successo.

La mancanza di risultati rafforza la sensazione di incapacità, spegnendo ulteriormente l’entusiasmo.

Come gestire l’ansia per preservare entusiasmo e risultati?

Praticare tecniche di mindfulness o meditazione per osservare e gestire i pensieri ansiosi senza farsi travolgere.

Spezzare compiti complessi in piccole azioni gestibili, in modo da ridurre la sensazione di sopraffazione.

Spostare l’attenzione dalla paura dell’insuccesso al desiderio di esplorare possibilità.

Condividere preoccupazioni o emozioni con persone fidate può aiutare a vedere le cose da una prospettiva diversa.

Mentre l’ansia può effettivamente soffocare l’entusiasmo e ostacolare i risultati, esistono strategie pratiche e allenabili per spezzare questo ciclo, recuperando energia e lucidità per affrontare le sfide con maggiore fiducia.

Affidarsi a persone competenti e supportive come consulenti o temporary manager è senza dubbio un metodo semplice e strategico per superare l’ansia legata a compiti complessi o situazioni aziendali impegnative. Questo approccio offre diversi vantaggi sia pratici che emotivi.

I consulenti e i temporary manager portano con sé una prospettiva esterna, spesso più lucida e meno influenzata dalle dinamiche interne che possono generare ansia. Grazie alla loro esperienza, possono individuare rapidamente soluzioni, strategie e priorità, riducendo il senso di incertezza e sovraccarico che alimenta l’ansia. Permettono al cliente di concentrarsi su aspetti che conosce meglio, evitando dispersione di energie su ambiti meno familiari.

L’ansia nasce spesso dalla paura di prendere decisioni sbagliate. Un professionista esperto funge da guida, aiutando a valutare opzioni e rischi con obiettività. Essi offrono strumenti e modelli per prendere decisioni informate, il che contribuisce a ridurre lo stress decisionale e aumenta la fiducia nelle scelte fatte.

Delegare compiti specifici a qualcuno di affidabile è un atto liberatorio. Riduce il carico mentale e operativo, permettendo a chi delega di concentrarsi sulle proprie competenze e responsabilità principali.

Lavorare con un consulente o un manager temporaneo garantisce che certe attività vengano svolte con efficienza e professionalità, senza doversene preoccupare in prima persona. Un professionista competente e supportivo non si limita a risolvere problemi: sa anche motivare e infondere fiducia.

Attraverso il loro esempio e il loro modo di affrontare le sfide, possono trasformare l’ansia in un’opportunità di apprendimento e crescita, trasmettendo strumenti e mindset utili anche per il futuro.

Grazie alla loro esperienza e al network consolidato, consulenti e temporary manager sono in grado di accelerare processi e risultati, riducendo il tempo in cui l’ansia potrebbe persistere. Questo crea un effetto domino positivo: i successi iniziali generano entusiasmo e fiducia per affrontare anche sfide più complesse.

Esempi di contesti in cui questa strategia è particolarmente efficace possono essere i seguenti:

Fusioni, acquisizioni o riorganizzazioni aziendali.

Risoluzione di problemi operativi, finanziari o di mercato.

Digitalizzazione, sviluppo di nuovi mercati o prodotti.

Supporto al leader o al team per sviluppare competenze specifiche.

Affidarsi a persone competenti non è solo una soluzione pratica, ma anche una scelta di leadership consapevole. Si tratta di riconoscere che nessuno può fare tutto da solo e che il supporto giusto può trasformare una sfida potenzialmente stressante in un’occasione di successo e crescita.

Noi siamo pronti, Voi

Articolo di Marco Simontacchi

26/11/2024

Imprenditore ondivago o puntatore laser? Decidi

È un problema comune che molti imprenditori affrontano: a volte dedicano tempo alla pianificazione delle loro attività personali e delle loro esigenze quotidiane, ma trascurano la pianificazione strategica dell’azienda. Questo comportamento può essere dovuto a diversi motivi.

Gli imprenditori potrebbero non essere consapevoli dell’importanza della pianificazione strategica per il successo a lungo termine dell’azienda. Potrebbero concentrarsi principalmente sulle esigenze immediate e quotidiane, trascurando la visione d’insieme.

Gli imprenditori spesso si trovano immersi in una miriade di compiti e responsabilità quotidiane, il che può far loro perdere di vista gli obiettivi a lungo termine dell’azienda. La mancanza di tempo e risorse può rendere difficile dedicare tempo alla pianificazione strategica.

Alcuni imprenditori potrebbero non avere le competenze necessarie per condurre una pianificazione strategica efficace. Potrebbero non sapere da dove cominciare o quali strumenti utilizzare per valutare lo stato attuale dell’azienda e stabilire obiettivi futuri.

Alcuni imprenditori potrebbero essere abituati a gestire l’azienda in modo reattivo anziché proattivo. Ciò significa che rispondono agli eventi e alle sfide man mano che si presentano, invece di anticipare e pianificare per il futuro.

Affrontare questo problema richiede un cambiamento di mentalità e l’adozione di pratiche manageriali più strategiche. Gli imprenditori possono beneficiare di diverse opportunità.

Acquisire competenze di pianificazione strategica e gestione aziendale può essere fondamentale per gli imprenditori che desiderano migliorare le prestazioni a lungo termine della propria azienda.

Dedicare tempo alla pianificazione strategica e considerarla una priorità aziendale può aiutare gli imprenditori a evitare di essere sopraffatti dalle esigenze quotidiane.

Coinvolgere consulenti o esperti esterni può fornire una prospettiva obiettiva e competenze specializzate per affrontare le sfide aziendali e sviluppare una strategia efficace.

Esistono numerosi strumenti e tecnologie disponibili per supportare la pianificazione strategica e la gestione aziendale. Utilizzare queste risorse può semplificare il processo decisionale e migliorare l’efficacia delle strategie aziendali.

E’ importante che gli imprenditori riconoscano l’importanza della pianificazione strategica e adottino pratiche manageriali che consentano loro di valutare accuratamente lo stato attuale dell’azienda, stabilire obiettivi chiari e sviluppare piani d’azione per raggiungere tali obiettivi.

Un piano industriale a 3-5 anni strategico è uno strumento fondamentale per guidare l’azienda verso obiettivi chiari e sostenibili nel lungo periodo. Questo tipo di piano fornisce una visione d’insieme delle ambizioni dell’azienda, definisce gli obiettivi strategici e le azioni necessarie per raggiungerli. Vediamo alcuni dei principali vantaggi di sviluppare un piano industriale strategico a lungo termine.

Un piano industriale a 3-5 anni consente all’azienda di guardare oltre il breve termine e di concentrarsi su obiettivi a lungo termine. Questa visione permette di prendere decisioni più informate e di stabilire una rotta chiara per il futuro.

Il piano industriale aiuta a identificare le risorse necessarie per raggiungere gli obiettivi a lungo termine dell’azienda. Ciò include risorse finanziarie, umane, tecnologiche e materiali. Assicura che queste risorse siano allocate in modo efficace e che siano in linea con le priorità strategiche dell’azienda.

Lo sviluppo di un piano industriale strategico consente di identificare e mitigare i rischi potenziali che potrebbero minacciare il successo dell’azienda nel lungo termine. Ciò include rischi finanziari, di mercato, operativi e competitivi. Prevedere questi rischi consente all’azienda di adottare misure preventive e di essere più resilienti alle sfide future.

Un piano industriale chiaro fornisce una guida chiara per tutti i livelli dell’organizzazione. Aiuta a creare un allineamento organizzativo su obiettivi comuni e a mantenere il focus sulle attività che contribuiscono maggiormente al successo aziendale a lungo termine.

Definendo obiettivi chiari e indicatori di performance, un piano industriale strategico consente di monitorare e valutare il progresso dell’azienda nel tempo. Questo permette di apportare eventuali correzioni di rotta o aggiornamenti strategici in base alle evoluzioni del mercato e dell’ambiente aziendale.

Un piano industriale a 3-5 anni strategico è uno strumento essenziale per garantire lo sviluppo sostenibile e il successo a lungo termine dell’azienda. Fornisce una guida chiara per l’allocazione delle risorse, la gestione dei rischi e il monitoraggio delle performance, consentendo all’azienda di navigare con sicurezza verso il futuro.

Se l’imprenditore non prende in mano le redini e non guida l’azienda con una strategia chiara e ben definita, sarà il mercato a determinare il destino dell’azienda. In un ambiente competitivo, le aziende devono adattarsi e innovare costantemente per rimanere rilevanti e competitivi.

Senza una guida strategica, le aziende rischiano di essere spinte dai cambiamenti del mercato anziché guidarli. La concorrenza può essere feroce e non fa sconti. Le aziende devono essere agili e pronte a rispondere alle mutevoli esigenze e alle sfide del mercato.

Ecco perché è fondamentale che gli imprenditori adottino un approccio proattivo alla gestione aziendale, sviluppando e seguendo un piano industriale strategico. Questo piano fornisce una roadmap chiara per l’azienda, consentendo di anticipare i cambiamenti del mercato, di identificare opportunità di crescita e di mitigare i rischi.

Inoltre, un piano industriale strategico permette all’azienda di differenziarsi dalla concorrenza e di creare un vantaggio competitivo sostenibile. Attraverso l’innovazione, l’efficienza operativa e la focalizzazione sulle esigenze dei clienti, l’azienda può posizionarsi in modo unico nel mercato e ottenere successo a lungo termine.

L’imprenditore ha il potere e la responsabilità di plasmare il destino dell’azienda attraverso una leadership strategica e una pianificazione efficace. Ignorare questa responsabilità mette a rischio la sopravvivenza e il successo dell’azienda nell’ambiente altamente competitivo di oggi.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

21/02/2024