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Abbraccia il vento del cambiamento

Nel cuore delle serre protette, le piante si innalzano rapide verso la luce, incoraggiate da un ambiente costante, privo di scosse, dove il sole filtra in modo calibrato e l’umidità è sempre sotto controllo. I loro fusti si slanciano con eleganza, sottili, spesso flessuosi. Ma basta un evento imprevisto, una corrente d’aria, uno squilibrio nel terreno, un cambiamento improvviso di temperatura, perché quei rami, cresciuti senza resistenza, inizino a piegarsi, spezzarsi, cedere sotto un peso minimo. È allora che emerge la differenza tra crescita e solidità.

All’esterno, nel mondo esposto, gli alberi modellano il proprio carattere nel confronto costante con il vento. Le raffiche li fanno ondeggiare, li scuotono, talvolta li feriscono. Ma quell’agitazione non è mai vana. I tessuti si ispessiscono, le fibre si rafforzano, le radici affondano più a fondo. La pianta non diventa semplicemente più alta, diventa stabile. Non solo vive: sopravvive.

In tempi di mercati incerti, l’economia non è diversa. Le piccole e medie imprese che da tempo attraversano condizioni avverse, mutamenti normativi, variazioni improvvise nella domanda, pressioni concorrenziali, hanno sviluppato una forma di intelligenza reattiva. Hanno imparato a contenere i costi senza impoverire il valore, a diversificare senza disperdersi, a leggere i segnali deboli di un cambiamento prima che diventi uno squilibrio. La turbolenza, per loro, non è uno scandalo: è un linguaggio.

Accanto a queste, altre realtà cresciute in nicchie protette, sostenute da mercati stabili o da rapporti privilegiati, si sono sviluppate in altezza più che in profondità. Hanno moltiplicato le filiali, ampliato i margini, automatizzato i processi. Ma senza che si forgiassero meccanismi interni di adattamento, senza l’abitudine a domande che non hanno risposta immediata. Quando la pressione arriva, quando i costi salgono o la domanda cambia volto, quella snellezza iniziale si rivela fragilità strutturale.

Nel silenzio delle serre o nella furia dei venti, non è la crescita in sé a fare la differenza, ma il modo in cui essa si combina con la resistenza. Così le imprese che attraversano le turbolenze non sempre emergono più grandi, ma spesso ne escono più pronte. Pronte non solo a resistere, ma a rigenerarsi nel mutamento.

Il vento, in fondo, non è nemico dell’albero. È parte della sua architettura. E forse lo stesso vale per il mercato: non c’è crisi che non contenga, per chi è preparato, l’inizio di una nuova forma di solidità.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

15/04/2025

Mentre si rimanda la vita passa

Dum differtur, vita transcurrit. Mentre si rimanda, la vita passa. E con essa, le occasioni, le finestre di cambiamento, le possibilità di evolvere prima che la realtà lo imponga con brutalità.

Nella vita d’impresa, il tempo ha una doppia natura: è risorsa e tiranno. Ogni giorno porta con sé una moltitudine di urgenze che reclamano attenzione immediata — scadenze da rispettare, clienti da accontentare, imprevisti da contenere. Ma nel rincorrere ciò che brucia, ciò che è vicino e pressante, spesso si sacrifica ciò che è importante, ma non urgente: l’innovazione, la pianificazione, la trasformazione. È lì che si annida la vera minaccia. Non nei problemi di oggi, ma nel ritardo sistematico con cui si affrontano quelli di domani.

Molti imprenditori si riconoscono in questa trappola: sapere cosa andrebbe fatto, ma non avere mai il “momento giusto” per farlo. Eppure la storia insegna, e lo fa in modo inequivocabile. Kodak sapeva che il futuro era digitale, eppure rimandò. Blockbuster intuì il cambiamento, ma non lo abbracciò. Nokia aveva le risorse per guidare l’era degli smartphone, ma esitò. Yahoo vide passare sotto il naso Google e poi Facebook, ma non seppe scegliere. In ogni caso, la procrastinazione non fu un errore di valutazione: fu una scelta, spesso inconsapevole, di rinviare ciò che faceva paura affrontare subito.

Chi guida una piccola o media impresa oggi si trova in un contesto simile, sebbene meno eclatante. L’evoluzione digitale, l’automazione, la sostenibilità, il ripensamento dei modelli organizzativi… sono temi noti, discussi, perfino condivisi a parole. Ma quanti li affrontano davvero con la priorità che meritano? Quanti trovano il tempo, lo spazio mentale e strategico, per dire: “Lo faccio ora, prima che sia troppo tardi”? Pochi. Troppo pochi.

Eppure, l’imprenditore che sa sottrarsi al fascino tossico dell’urgenza e riorientare la bussola sulle vere priorità costruisce un vantaggio solido, duraturo. Non è una questione di tecnologia o di budget: è una questione di mentalità. Di lucidità. Di coraggio.

Il cambiamento, infatti, non aspetta che tu sia pronto. E il tempo che immagini di risparmiare rinviando, lo pagherai con interessi altissimi nel futuro. L’abitudine a rimandare — che si maschera spesso da prudenza, cautela o gestione oculata — è, in realtà, una forma sottile di autodistruzione. Non perché tu scelga il fallimento, ma perché gli lasci campo libero mentre sei occupato altrove.

Ciò che distingue chi cresce da chi resiste — e poi lentamente scompare — non è la dimensione, né il settore, né la fortuna. È la capacità di agire in tempo. Non perfettamente, ma in tempo. Di scegliere oggi quello che tutti sceglieranno domani, quando sarà troppo tardi per farne un vantaggio.

Il futuro non è mai un evento lontano: è un’onda che si forma ora, sotto i tuoi piedi. Decidere di affrontarla oggi, anche con strumenti imperfetti, è mille volte meglio che aspettare che ti travolga. Perché, come ammoniva Seneca, dum differtur, vita transcurrit. E nel mondo dell’impresa, la vita che passa è il mercato che cambia, il cliente che migra, la concorrenza che accelera. È il tempo che non ti aspetta.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

09/04/2025

Azienda e Umanesimo: la nuova leadership

La partecipazione all’incontro “Filosofia, Impresa e Innovazione” organizzato dall’Università di Bergamo è stata un’occasione stimolante per riflettere su un cambiamento già in atto ma ancora sottovalutato nei nostri contesti europei: l’integrazione del pensiero filosofico all’interno delle strutture aziendali, non come ornamento culturale, ma come strumento essenziale di gestione e visione strategica.

La figura del Chief Philosophy Officer (CPO), già presente in molte delle principali aziende statunitensi, rappresenta una risposta evolutiva a una crisi più profonda: quella del pensiero. In un’epoca in cui i processi decisionali sono spesso guidati da metriche immediate, algoritmi e analisi riduzioniste, la presenza del CPO vuole rimettere al centro il pensiero critico, sistemico, laterale. L’intelligenza analitica da sola non basta più: il mondo contemporaneo richiede flessibilità mentaleapertura alla complessità, e la capacità di vedere connessioni là dove altri vedono compartimenti stagni. Non è un caso che, negli Stati Uniti, la laurea in filosofia sia tra le più ricercate nel mondo aziendale: il pensiero filosofico non insegna cosa pensare, ma come pensare. Ed è proprio questa capacità che diventa fondamentale quando si devono affrontare l’ambiguità, l’incertezza, la trasformazione.

Lo spin-off N.E.X.T., diretto dalla D.ssa Valeria Trabattoni, si inserisce perfettamente in questa prospettiva, proponendo un’innovazione culturale e formativa che potrebbe rivelarsi determinante per il futuro del management e dell’organizzazione aziendale. L’idea che l’impresa non sia solo luogo di produzione e profitto, ma spazio di senso, comunità, trasformazione sociale, è il cuore di una visione umanistica dell’economia, ben lontana dalla logica ultra-capitalistica che oggi mostra tutti i suoi limiti sistemici ed etici.

È fondamentale oggi che manager e imprenditori si impegnino in un percorso di consapevolezza, che li aiuti ad uscire da visioni meccanicistiche e lineari dell’azienda e della società. Questa transizione non può essere solo strategica o operativa: deve essere interiore, culturale, e persino spirituale. La riduzione dell’uomo a produttore e consumatore ha creato squilibri profondi: burnout, disconnessione sociale, perdita di senso. Serve un riposizionamento del capitale, che non può essere visto solo come fine e mezzo unico dell’azione economica, ma come strumento al servizio del bene comune. Le imprese devono tornare a essere motore di una società sana, sostenibile e fondata sulla dignità del lavoro.

Da questa prospettiva nasce una convinzione forte: chi detiene potere o assume ruoli di leadership ha il dovere etico di intraprendere un percorso umanistico, che non si limiti alla conoscenza teorica, ma includa una trasformazione personale. Non è possibile oggi guidare un’organizzazione in modo autentico senza prima aver esplorato la propria interiorità, senza aver riconosciuto i propri bias cognitivi, senza aver fatto i conti con i meccanismi di proiezione e le reazioni automatiche che spesso derivano da ferite psico-emotive non elaborate. Il vero leader non è colui che sa tutto, ma colui che è disposto a mettere in discussione la propria mappa mentale, a riconoscere i limiti della propria prospettiva, e soprattutto a coltivare empatia e presenza.

Questo cammino porta naturalmente a una dimensione transpersonale, in cui il soggetto supera la centralità del proprio ego e inizia a pensare e agire in modo sistemico, integrato, interconnesso. Solo chi ha sperimentato questa espansione della coscienza può veramente abbracciare il pensiero lateralel’intelligenza collettiva, e l’etica della responsabilità che oggi sono richieste per affrontare le sfide globali, ambientali, sociali e tecnologiche.

In sintesi, la figura del CPO e iniziative come N.E.X.T. ci indicano una direzione chiara: il futuro dell’impresa passa per la filosofia, l’umanesimo, la consapevolezza. Non si tratta di aggiungere un “tocco etico” a processi già esistenti, ma di trasformare alla radice il modo in cui pensiamo l’economia, il lavoro, il potere. In questo senso, ogni leader è chiamato a diventare prima di tutto filosofo della propria esperienza, e solo in questo modo potrà contribuire a costruire organizzazioni autenticamente innovative, sostenibili e al servizio della vita.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

02/04/2025

Chi davvero vuole trova la strada

Chi davvero vuole, trova la strada; chi si aggrappa alle scuse, trova negli ostacoli un alibi.

Potrà sembrare un’affermazione banale o retorica, ma la capacità di non arrendersi di fronte alle difficoltà e di non fermarsi al terzo “no” è una qualità imprenditoriale fondamentale per il successo a lungo termine. Certo, non basta solo la determinazione: servono molte altre competenze e caratteristiche, che si possono apprendere e sviluppare. Tuttavia, senza questa energia interiore, si rischia di essere come le rive sabbiose battute dalle onde: le difficoltà finiscono per travolgerci e cancellare ciò che abbiamo costruito. Per avere successo, bisogna essere solidi come la roccia e flessibili come l’acqua.

Questo principio non vale solo per l’imprenditoria, ma per la crescita personale e la resilienza in ogni ambito della vita. La capacità di superare gli ostacoli distingue chi raggiunge i propri obiettivi da chi si arrende alle prime difficoltà.

La metafora della roccia e dell’acqua è particolarmente efficace: la solidità permette di mantenere la direzione senza lasciarsi travolgere dagli imprevisti, mentre la flessibilità consente di adattarsi ai cambiamenti senza spezzarsi. Troppa rigidità può portare alla rottura sotto la pressione, mentre un’eccessiva morbidezza rischia di disperdere le energie senza risultati concreti.

In campo imprenditoriale, così come nella vita, il successo è spesso il risultato dell’equilibrio tra resilienza e capacità di apprendimento. Saper trasformare i fallimenti in lezioni preziose e avere la costanza di proseguire sono elementi chiave. Come diceva Thomas Edison:

“Molti dei fallimenti della vita sono di persone che non si resero conto di quanto fossero vicine al successo quando si arresero.”

Le difficoltà, spesso viste come ostacoli, possono essere invece occasioni per distinguersi, per trovare soluzioni innovative e per compiere quel salto di qualità che fa avanzare aziende e organizzazioni. Non si tratta solo di resistenza o determinazione, ma di visione: la capacità di guardare oltre il problema e scorgere nuove opportunità di miglioramento, innovazione ed efficienza.

Le situazioni critiche mettono alla prova, ma proprio in quei momenti emergono le intuizioni più brillanti. Le crisi evidenziano inefficienze, costringono a ripensare le strategie e aiutano a distinguere ciò che funziona davvero da ciò che deve essere cambiato. Chi sa leggere tra le righe non si limita a superare l’ostacolo, ma lo trasforma in un trampolino di crescita, apprendimento ed evoluzione.

Il mercato premia chi sa adattarsi e anticipare il cambiamento. Non sopravvive chi è più forte o più intelligente, ma chi è capace di restare flessibile, comprendere il contesto e trovare nuove strade. La continuità e il successo derivano proprio da questa mentalità: non fermarsi di fronte ai problemi, ma usarli come occasione per migliorarsi.

La capacità di trasformare le difficoltà in opportunità non è solo una questione di resilienza, ma anche di strategia e innovazione. Le aziende e le organizzazioni che vedono le crisi come occasioni per differenziarsi non solo sopravvivono ai momenti difficili, ma spesso ne escono più forti, consolidando il proprio vantaggio competitivo.

La storia dell’imprenditoria è ricca di esempi di aziende che, anziché lasciarsi schiacciare dalle difficoltà, hanno trovato in esse lo stimolo per reinventarsi. Netflix, nata come servizio di noleggio DVD, ha saputo anticipare il boom dello streaming, trasformandosi prima che il mercato la rendesse obsoleta. Amazon, inizialmente un negozio online di libri, ha sfruttato le sfide della logistica tradizionale per sviluppare una rete di distribuzione efficiente, oggi alla base del suo dominio globale.

Le aziende di successo non si limitano a resistere alle onde del cambiamento, le cavalcano, trasformando le difficoltà in slancio competitivo. Questa è la differenza tra chi subisce il cambiamento e chi lo guida.

E secondo voi, quali sono le caratteristiche chiave che permettono alle aziende di trasformare le difficoltà in opportunità?

Articolo di Marco Simontacchi

05/03/2025

Time management: una piaga per le PMI

Il time management è uno di quei concetti di cui tutti parlano, ma che pochi riescono davvero ad applicare. In teoria, sappiamo benissimo quanto sia importante organizzare il tempo in modo efficace per migliorare la produttività e ridurre lo stress. Eppure, nella realtà quotidiana, soprattutto nelle piccole e medie imprese, ci si trova sempre in affanno, rincorrendo scadenze, tamponando emergenze e affrontando le giornate con l’affanno di chi ha sempre troppo da fare e troppo poco tempo per farlo.

Le PMI soffrono particolarmente questa dinamica. Risorse limitate, ruoli spesso sovrapposti, la necessità di gestire ogni aspetto dell’attività: tutto questo crea un contesto in cui il tempo sembra sempre sfuggire di mano. I titolari e i manager si trovano coinvolti in mille questioni operative, passano da una riunione all’altra, rispondono a telefonate e mail senza soluzione di continuità, e alla fine della giornata si rendono conto di non aver dedicato neanche un minuto a ciò che davvero conta per il futuro dell’azienda.

Una delle trappole più comuni è quella dell’urgenza. Si tende a dare la priorità a ciò che scotta nel momento, lasciando in secondo piano attività più importanti ma meno immediate. Si vive nella convinzione che ogni problema debba essere affrontato subito, che ogni richiesta vada gestita nell’immediato, e così ci si ritrova sommersi da incombenze che riempiono la giornata senza lasciare spazio a una vera visione strategica.

Le e-mail, per esempio. Ogni notifica sembra una questione urgente, e appena ne arriva una, scatta l’istinto di aprirla e rispondere. Il problema è che queste continue interruzioni impediscono di concentrarsi su attività realmente produttive. Lo stesso accade con le riunioni: quante ore vengono spese in discussioni che potrebbero essere risolte con una semplice comunicazione più efficace? La verità è che molte delle cose che sembrano urgenti non lo sono affatto. Ma fino a quando si resta intrappolati in questo meccanismo, si continuerà a rincorrere il tempo senza mai sentirsi davvero padroni delle proprie giornate.

Un’altra grande perdita di tempo è l’attenzione eccessiva ai dettagli di poco conto. Succede spesso nelle PMI, dove titolari e manager tendono a voler tenere tutto sotto controllo. Il risultato? Ore intere spese su problemi operativi minori, mentre le questioni più strategiche vengono rimandate.

È facile cadere nella tentazione di occuparsi di tutto: il sito web ha un piccolo errore? Meglio mettersi subito a sistemarlo. Un cliente ha una richiesta fuori standard? Ci si ferma per gestirla direttamente. Una questione amministrativa richiede una firma? Ci si ritrova a perdere mezz’ora per risolverla. Ogni singola azione sembra giustificata, ma sommate insieme, queste attività frammentano la giornata e lasciano pochissimo spazio alle decisioni veramente importanti. Il problema è che questa continua immersione nel dettaglio dà l’illusione di essere produttivi, mentre in realtà si è solo occupati.

Non è facile cambiare abitudini, ma con qualche piccolo accorgimento si può iniziare a prendere in mano la propria gestione del tempo. La prima cosa da fare è distinguere tra ciò che è davvero importante e ciò che invece è solo urgente. Non tutto ciò che richiede attenzione immediata merita di essere una priorità. Bisognerebbe invece chiedersi: questa attività contribuirà davvero alla crescita dell’azienda? O è solo un’altra piccola emergenza che domani verrà dimenticata?

Un’altra strategia efficace è la pianificazione. Non basta fare una lista di cose da fare: bisogna decidere in anticipo quando e come affrontarle, assegnando loro il giusto peso. Se si inizia la giornata senza un piano chiaro, si finisce per essere risucchiati dalle contingenze.

Poi c’è il problema delle distrazioni. E-mail, notifiche, telefonate improvvise: tutto questo frammenta il tempo e abbassa la produttività. Spegnere le notifiche per qualche ora, dedicare blocchi di tempo specifici a determinati compiti e ridurre le riunioni inutili può fare una grande differenza.

Ma la vera svolta arriva quando si impara a delegare. Troppe volte nelle PMI si pensa che “se lo faccio io, lo faccio meglio e più in fretta”. È un errore enorme. Delegare non significa perdere il controllo, ma liberare tempo per concentrarsi su ciò che davvero conta. Inoltre, l’automazione può essere un grande alleato: oggi esistono strumenti digitali per gestire in maniera più efficiente contabilità, comunicazione, project management. Perché non sfruttarli?

Infine, serve un cambio di mentalità: il tempo dedicato alla pianificazione e all’organizzazione non è mai tempo perso. Anzi, è l’unico modo per smettere di essere sempre in affanno e iniziare finalmente a lavorare con lucidità.

Nelle PMI, la cattiva gestione del tempo è una delle principali cause di inefficienza e stress. Troppe aziende lavorano sempre in emergenza, senza mai fermarsi a pianificare in modo strategico. Ma continuare a inseguire urgenze e dettagli inutili porta solo a sprechi di energia e a un senso di frustrazione costante.

Il segreto sta nel cambiare approccio: smettere di essere reattivi e iniziare a essere proattivi. Smettere di confondere l’essere occupati con l’essere produttivi. E soprattutto, iniziare a vedere il tempo non come un nemico da rincorrere, ma come una risorsa preziosa da gestire con intelligenza. Solo così si potrà trasformarlo in un vero alleato per la crescita e il successo dell’azienda.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

04/02/2025

Errare humanum est: trasformare un errore in un’opportunità di fiducia

Nessuno è immune dagli errori, specialmente nel contesto lavorativo. Tuttavia, ciò che distingue un professionista eccellente da uno mediocre è il modo in cui affronta e gestisce un errore. Come dice il famoso adagio “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”, sbagliare può capitare, ma è la reazione all’errore che fa la differenza tra perdere un cliente e rafforzarne la fiducia.

Quando tutto va per il verso giusto, è facile ricevere elogi e apprezzamenti dai clienti. Tuttavia, il vero valore di un professionista o di un’azienda emerge quando qualcosa non funziona come previsto. I clienti non pretendono la perfezione, ma vogliono sapere che il loro fornitore è in grado di affrontare i problemi con competenza e prontezza. Una reazione efficace non solo riduce il disagio, ma può persino trasformare una situazione difficile in un’opportunità per rafforzare la relazione.

Di fronte a un errore, è naturale cercare di minimizzare l’accaduto o negare la responsabilità per proteggere la propria immagine. Ma questa strategia rischia di peggiorare le cose. Secondo uno studio della Harvard Business Review, il 37% dei clienti considera la trasparenza nella gestione dei problemi un fattore chiave per mantenere la fiducia. Negare un errore o cercare di sminuirlo può aumentare il malcontento, rendendo molto più difficile riconquistare la stima del cliente.

Affrontare un errore in modo efficace richiede innanzitutto sincerità. Ammettere l’errore con trasparenza non è solo un atto di onestà, ma un modo per creare empatia con il cliente e dimostrare consapevolezza. Una volta riconosciuto il problema, è essenziale capire l’impatto che ha avuto: analizzare le conseguenze permette di dimostrare attenzione e rispetto nei confronti del disagio arrecato.

Il passo successivo è offrire una soluzione tempestiva e concreta. Questo non significa soltanto risolvere il problema, ma farlo in modo rapido e professionale, trasmettendo un messaggio chiaro: si è impegnati a correggere l’errore e a garantire che non si ripeta. Infine, per trasformare l’intera esperienza in qualcosa di positivo, un piccolo gesto compensativo può fare una grande differenza. Che si tratti di uno sconto, un servizio aggiuntivo o un’altra forma di valore aggiunto, questi accorgimenti lasciano nel cliente un’impressione di cura e attenzione, mitigando l’effetto negativo dell’errore iniziale.

I dati parlano chiaro: secondo un report di Zendesk del 2022, l’89% dei clienti è disposto a dare una seconda possibilità a chi risolve in modo soddisfacente un errore. Inoltre, l’80% valuta positivamente un’azienda che offre una compensazione per il disagio subito, mentre il 70% afferma che una gestione proattiva dei problemi aumenta la fedeltà e la fiducia verso il brand.

Questi numeri evidenziano quanto sia cruciale affrontare gli errori con trasparenza e offrire soluzioni concrete. Un cliente soddisfatto della gestione di un problema è più incline a rimanere fedele e a raccomandare il servizio ad altri.

Gestire un errore con professionalità non è solo una questione di etica, ma anche una strategia vincente. Un cliente che percepisce impegno e attenzione nella risoluzione dei problemi può diventare un ambasciatore del marchio, contribuendo a rafforzarne la reputazione. In fondo, tutti sono bravi quando le cose vanno bene; è nelle difficoltà che si costruisce una vera credibilità.

In definitiva, imparare a trasformare gli errori in opportunità non solo aiuta a prevenire feedback negativi, ma rafforza anche la fiducia e la fedeltà dei clienti. E, in un mercato sempre più competitivo, queste qualità possono rappresentare la chiave per il successo.

Il difficile equilibrio della consulenza

Essere un temporary manager o un consulente implica spesso il compito delicato di sfidare il pensiero dominante di un imprenditore o di un management. Si tratta di un ruolo complesso, che richiede equilibrio tra l’assumere posizioni scomode e mantenere la relazione fiduciaria. Il rischio più grande? Diventare complici di un disastro per evitare di incrinare il rapporto, oppure, all’opposto, irrigidirsi al punto da compromettere la fiducia. In tutto questo, però, chi si limita a seguire gli schemi di pensiero del committente senza offrire un punto di vista critico rischia di essere una minaccia per la salute dell’azienda.

I bias cognitivi, come quello di conferma, sono una trappola pericolosa. È facile per imprenditori e manager cercare solo le informazioni che supportano le loro convinzioni, ignorando tutto ciò che le contraddice. Proprio qui entra in gioco il valore del consulente o del temporary manager: offrire una prospettiva esterna, libera da pregiudizi interni, capace di sfidare le convinzioni radicate. Ma come farlo senza creare fratture insanabili?

Innanzitutto, bisogna partire dai dati. Non c’è nulla di più efficace di un’analisi oggettiva e solida per aprire un dialogo. Inoltre, porre domande strategiche può essere un’arma potente: chiedere “Cosa accadrebbe se questa ipotesi fosse sbagliata?” o “Quali sono i rischi che stiamo sottovalutando?” non solo stimola la riflessione, ma coinvolge il management in un processo di esplorazione condivisa.

L’empatia è un altro elemento cruciale. Quando il consulente dimostra di comprendere le paure e le resistenze di chi ha di fronte, il confronto smette di essere percepito come una sfida e diventa un’opportunità. E qui entra in gioco anche la capacità di saper dosare i tempi: introdurre cambiamenti troppo radicali, troppo in fretta, può generare rigetto. A volte, un approccio graduale, che permetta di costruire fiducia passo dopo passo, è la scelta più saggia.

Ovviamente, ci sono momenti in cui non si può scendere a compromessi. Se il contesto o le decisioni rischiano di portare l’azienda al disastro, il consulente deve essere pronto a esporsi, anche correndo il rischio di incrinare il rapporto. La credibilità professionale e i valori etici devono sempre rimanere il faro guida: accettare di essere “complici” di un errore macroscopico può danneggiare non solo l’azienda, ma anche la propria reputazione.

Chi si limita a seguire passivamente gli schemi di pensiero del committente non sta facendo il suo lavoro. Non sta apportando valore, non sta proteggendo l’azienda dai rischi, e soprattutto non sta garantendo un reale contributo trasformativo. È solo un esecutore, privo di quella visione critica che fa la differenza.

Essere un temporary manager o un consulente significa quindi camminare su una linea sottile. Vuol dire essere specchi critici ma costruttivi, alleati del cambiamento ma mai complici dell’immobilismo. Vuol dire saper dire la verità, anche quando non è comoda, e farlo con il giusto mix di rispetto e fermezza. Alla fine, ciò che fa la differenza non è solo quello che si dice, ma come lo si dice. È questa la vera arte del consulente: trasformare visioni critiche in opportunità di crescita.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

19/12/24

L’ansia ammazza l’entusiasmo e addormenta i risultati

Questa affermazione coglie una verità importante sul legame tra emozioni e performance. L’ansia, intesa come uno stato di apprensione o preoccupazione eccessiva, può effettivamente avere un impatto negativo sull’entusiasmo e sui risultati.

L’entusiasmo è spesso alimentato da uno stato mentale positivo, caratterizzato da energia, fiducia e motivazione. L’ansia, al contrario, è uno stato di tensione che tende a focalizzare la mente su scenari negativi o incertezze, soffocando la spontaneità e la capacità di godere delle esperienze.

Quando l’ansia prende il sopravvento, può ridurre la capacità di provare entusiasmo per un progetto o un obiettivo, facendo sembrare anche le attività più interessanti come un peso. Dal punto di vista psicologico, l’ansia può interferire con la concentrazione e la chiarezza mentale.

Fisiologicamente, l’ansia attiva la risposta “lotta o fuga”, che può essere utile in situazioni di emergenza ma controproducente per attività che richiedono pensiero lucido e creativo. Questo stato di tensione prolungata può portare a stanchezza mentale e fisica, peggiorando la qualità delle performance e diminuendo i risultati.

L’ansia può creare un circolo vizioso: la paura del fallimento porta a procrastinare o evitare di affrontare compiti, il che a sua volta amplifica l’ansia e riduce le possibilità di successo.

La mancanza di risultati rafforza la sensazione di incapacità, spegnendo ulteriormente l’entusiasmo.

Come gestire l’ansia per preservare entusiasmo e risultati?

Praticare tecniche di mindfulness o meditazione per osservare e gestire i pensieri ansiosi senza farsi travolgere.

Spezzare compiti complessi in piccole azioni gestibili, in modo da ridurre la sensazione di sopraffazione.

Spostare l’attenzione dalla paura dell’insuccesso al desiderio di esplorare possibilità.

Condividere preoccupazioni o emozioni con persone fidate può aiutare a vedere le cose da una prospettiva diversa.

Mentre l’ansia può effettivamente soffocare l’entusiasmo e ostacolare i risultati, esistono strategie pratiche e allenabili per spezzare questo ciclo, recuperando energia e lucidità per affrontare le sfide con maggiore fiducia.

Affidarsi a persone competenti e supportive come consulenti o temporary manager è senza dubbio un metodo semplice e strategico per superare l’ansia legata a compiti complessi o situazioni aziendali impegnative. Questo approccio offre diversi vantaggi sia pratici che emotivi.

I consulenti e i temporary manager portano con sé una prospettiva esterna, spesso più lucida e meno influenzata dalle dinamiche interne che possono generare ansia. Grazie alla loro esperienza, possono individuare rapidamente soluzioni, strategie e priorità, riducendo il senso di incertezza e sovraccarico che alimenta l’ansia. Permettono al cliente di concentrarsi su aspetti che conosce meglio, evitando dispersione di energie su ambiti meno familiari.

L’ansia nasce spesso dalla paura di prendere decisioni sbagliate. Un professionista esperto funge da guida, aiutando a valutare opzioni e rischi con obiettività. Essi offrono strumenti e modelli per prendere decisioni informate, il che contribuisce a ridurre lo stress decisionale e aumenta la fiducia nelle scelte fatte.

Delegare compiti specifici a qualcuno di affidabile è un atto liberatorio. Riduce il carico mentale e operativo, permettendo a chi delega di concentrarsi sulle proprie competenze e responsabilità principali.

Lavorare con un consulente o un manager temporaneo garantisce che certe attività vengano svolte con efficienza e professionalità, senza doversene preoccupare in prima persona. Un professionista competente e supportivo non si limita a risolvere problemi: sa anche motivare e infondere fiducia.

Attraverso il loro esempio e il loro modo di affrontare le sfide, possono trasformare l’ansia in un’opportunità di apprendimento e crescita, trasmettendo strumenti e mindset utili anche per il futuro.

Grazie alla loro esperienza e al network consolidato, consulenti e temporary manager sono in grado di accelerare processi e risultati, riducendo il tempo in cui l’ansia potrebbe persistere. Questo crea un effetto domino positivo: i successi iniziali generano entusiasmo e fiducia per affrontare anche sfide più complesse.

Esempi di contesti in cui questa strategia è particolarmente efficace possono essere i seguenti:

Fusioni, acquisizioni o riorganizzazioni aziendali.

Risoluzione di problemi operativi, finanziari o di mercato.

Digitalizzazione, sviluppo di nuovi mercati o prodotti.

Supporto al leader o al team per sviluppare competenze specifiche.

Affidarsi a persone competenti non è solo una soluzione pratica, ma anche una scelta di leadership consapevole. Si tratta di riconoscere che nessuno può fare tutto da solo e che il supporto giusto può trasformare una sfida potenzialmente stressante in un’occasione di successo e crescita.

Noi siamo pronti, Voi

Articolo di Marco Simontacchi

26/11/2024

Il Tutor compagno fedele nelle pratiche di finanza agevolata e microcredito

Un tutor può guidare gli imprenditori o i beneficiari di microcredito attraverso il processo di richiesta e acquisizione di fondi, fornendo loro supporto e consigli lungo il percorso. Questo può includere la compilazione della documentazione necessaria, la comprensione dei requisiti di ammissibilità e la navigazione attraverso il processo di valutazione e a monte valutare e proporre tutte le opportunità idonee alla azienda seguita.

Un tutor può fornire formazione e istruzione su argomenti finanziari fondamentali, come la gestione del denaro, la pianificazione finanziaria, la comprensione dei tassi di interesse e la gestione del debito. Questo può aiutare i beneficiari a sviluppare competenze finanziarie essenziali per gestire efficacemente i fondi ricevuti e per migliorare la loro situazione finanziaria complessiva.

Un tutor può mettere in contatto i beneficiari con risorse e reti di supporto aggiuntive, come altre organizzazioni non profit, istituzioni finanziarie locali o associazioni commerciali. Questo può aiutare i beneficiari a stabilire connessioni utili e ad accedere a ulteriori opportunità di sviluppo economico e finanziario.

Un tutor può svolgere un ruolo nel monitorare e valutare il progresso dei beneficiari nel raggiungimento dei loro obiettivi finanziari e aziendali. Questo può includere la revisione periodica dei piani aziendali, l’analisi dei flussi di cassa e l’identificazione di eventuali sfide o opportunità di miglioramento.

Un tutor può aiutare i beneficiari a sviluppare strategie per garantire la sostenibilità a lungo termine delle loro attività imprenditoriali, fornendo consulenza su questioni come la diversificazione delle entrate, lo sviluppo di partnership strategiche e l’adattamento alle mutevoli condizioni del mercato.

Un tutor può svolgere un ruolo fondamentale nel fornire guida, formazione, supporto e risorse ai beneficiari di microcredito e finanza agevolata, contribuendo così al successo delle loro imprese e al miglioramento delle loro condizioni finanziarie.

Considerare un tutor come un investimento anziché un costo è una prospettiva molto valida, specialmente quando si tratta di pratiche come il microcredito e la finanza agevolata. Ecco perché un tutor può essere considerato un investimento produttivo ad alta resa.

Massimizzazione del potenziale dei beneficiari Un tutor può aiutare i beneficiari a sviluppare le competenze e le conoscenze necessarie per massimizzare il potenziale del loro business. Questo può portare a una maggiore efficacia operativa, maggiore redditività e crescita sostenibile nel lungo termine.

Riduzione dei rischi Un tutor può fornire consulenza e orientamento per mitigare i rischi associati all’avvio e alla gestione di un’attività imprenditoriale. Questo può aiutare i beneficiari a evitare errori costosi e a superare le sfide in modo più efficiente, contribuendo alla stabilità finanziaria e al successo complessivo del loro business.

Generazione di impatti positivi Investire in un tutor può portare a impatti positivi sia per i beneficiari individuali che per la comunità nel suo insieme. Ad esempio, può favorire la creazione di posti di lavoro, stimolare lo sviluppo economico locale e ridurre la povertà attraverso l’empowerment economico.

Miglioramento della reputazione e dell’impatto sociale Le organizzazioni che forniscono supporto tramite tutoraggio possono beneficiare di una migliore reputazione e di un maggiore impatto sociale. Questo può contribuire a rafforzare il coinvolgimento della comunità, a generare fiducia tra gli stakeholder e a attirare ulteriori risorse e finanziamenti per sostenere le attività future.

Rendimento a lungo termine Investire in un tutor può portare a risultati tangibili nel breve termine, ma anche a benefici duraturi nel lungo termine. Ad esempio, i beneficiari che ricevono supporto adeguato possono diventare imprenditori di successo che reinvestono nel proprio business e contribuiscono alla crescita economica sostenibile nel tempo.

Considerare un tutor come un investimento produttivo ad alta resa riflette la sua capacità di generare valore aggiunto significativo per i beneficiari, le organizzazioni e le comunità nel loro complesso.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

10/02/2024

Il problem solving richiede un cambio di problem setting

Affrontare i problemi in azienda con una logica statica può  portare a risultati stagnanti. Questo concetto è in linea con il concetto di adattabilità e flessibilità nelle strategie di gestione. L’approccio scientifico a questo problema coinvolge l’applicazione del concetto di “aprendo all’apprendimento” e l’adozione di un approccio innovativo.

Analisi dei risultati passati Prima di apportare modifiche, è essenziale analizzare i risultati delle strategie precedenti. Ciò fornisce una base empirica per comprendere cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato. Un approccio scientifico richiede di esaminare i dati oggettivi e di evitare giudizi basati solo su opinioni personali.

Identificazione delle variabili critiche Considerare le variabili che possono influenzare i risultati. Questo può includere cambiamenti nell’ambiente di mercato, nuove tecnologie o modifiche nei comportamenti dei consumatori. Un approccio scientifico richiede un’analisi accurata di queste variabili.

Innovazione e adattamento L’approccio scientifico suggerisce di sperimentare con nuove strategie. Questo potrebbe comportare piccoli test pilota per valutare l’efficacia di nuove metodologie o cambiamenti nell’approccio. La flessibilità nell’adattare le strategie in base ai risultati sperimentali è fondamentale.

Apprendimento continuo In un ambiente aziendale dinamico, l’apprendimento continuo è cruciale. Un approccio basato sulla logica scientifica implica la volontà di adattarsi e migliorare costantemente, basandosi su nuove informazioni ed esperienze.

Coinvolgimento del team Coinvolgere il team nella discussione e nell’implementazione di nuove strategie è essenziale. L’approccio scientifico non dovrebbe essere applicato in modo isolato, ma dovrebbe coinvolgere prospettive diverse per una visione più completa.

Affrontare i problemi aziendali con una logica statica può ostacolare la crescita e l’innovazione. Un approccio basato sulla logica scientifica favorisce l’adattabilità, la sperimentazione e l’apprendimento continuo per ottenere risultati più efficaci nel contesto aziendale.

Cercare risorse esterne tramite consulenze mirate può essere una strategia valida quando si affrontano sfide aziendali e non si dispone delle competenze o delle risorse necessarie internamente. Questo approccio è coerente con il concetto di ottimizzazione delle risorse e può essere esaminato attraverso un’analisi basata sulla logica scientifica.

Identificazione delle lacune Qualora emergano lacune nelle competenze o nelle risorse interne, è possibile applicare un approccio scientifico per identificare le specifiche competenze necessarie. Questo potrebbe coinvolgere la definizione chiara degli obiettivi e delle esigenze di consulenza.

Selezione mirata di consulenti Basandosi su una chiara analisi delle esigenze, è possibile avviare un processo di selezione mirata di consulenti. Questo dovrebbe coinvolgere una valutazione oggettiva delle competenze, esperienze passate e la capacità di adattarsi alle esigenze specifiche dell’azienda.

Innovazione controllata In alcuni casi, è possibile adottare un approccio di sperimentazione controllata. Questo coinvolge l’implementazione di consulenze mirate su una scala limitata per valutare l’impatto prima di un’implementazione più ampia. Questo è un elemento chiave dell’approccio scientifico, in quanto consente di raccogliere dati empirici sulla performance delle risorse esterne.

Valutazione continua Dopo l’implementazione delle consulenze esterne, è cruciale condurre una valutazione continua dei risultati. Questo potrebbe comportare la raccolta di dati, la misurazione del progresso rispetto agli obiettivi e l’adattamento delle strategie in base ai risultati osservati.

L’analisi, la selezione mirata, la sperimentazione e la valutazione continua sono elementi fondamentali di un approccio basato sulla logica scientifica.

La consulenza strategica di impresa può essere una soluzione vincente in molte situazioni. Tuttavia, è importante adottare un approccio scientifico.

Analisi dei bisogni Per di impegnarsi in una consulenza strategica con successo, è fondamentale condurre un’analisi approfondita dei bisogni dell’azienda. Ciò può coinvolgere la valutazione delle sfide attuali, degli obiettivi a lungo termine e delle opportunità di crescita. L’analisi dovrebbe basarsi su dati oggettivi e informazioni concrete.

Definizione degli obiettivi Un approccio scientifico richiede la definizione chiara degli obiettivi che si intendono raggiungere attraverso la consulenza strategica. Questi obiettivi dovrebbero essere misurabili e collegati agli indicatori chiave di performance (KPI) dell’azienda.

Selezione di consulenti competenti La scelta dei consulenti strategici è critica. Basandosi su criteri oggettivi, come competenze comprovate, esperienze di successo precedenti e una comprensione approfondita del settore dell’azienda, è possibile garantire una selezione appropriata.

Pianificazione e implementazione strutturata L’implementazione di nuove strategie dovrebbe seguire una pianificazione strutturata. Questo potrebbe coinvolgere la definizione di fasi chiare, l’allocazione di risorse e la gestione di eventuali rischi. Un approccio scientifico richiede una valutazione costante durante l’implementazione per garantire che si stiano raggiungendo gli obiettivi prefissati.

Monitoraggio e valutazione continua La consulenza strategica dovrebbe essere sottoposta a un monitoraggio costante. Ciò può includere la valutazione delle metriche di performance, la raccolta di feedback e la flessibilità nell’adattare le strategie in base alle dinamiche del mercato.

Risultati misurabili Un aspetto fondamentale di un approccio scientifico è la misurabilità dei risultati. L’azienda dovrebbe essere in grado di valutare in modo oggettivo l’impatto della consulenza strategica attraverso indicatori chiave di performance.

Se gestita con attenzione e con un approccio scientifico, la consulenza strategica può essere una soluzione vincente per affrontare sfide aziendali e perseguire opportunità di crescita. La chiave è basarsi su dati oggettivi, obiettivi misurabili e una valutazione continua.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

16/01/2024