Bandi a click day – o click bait?

È ormai esperienza comune tra le PMI italiane: i bandi a fondo perduto, soprattutto quelli con meccanismi di click day, finiscono per sembrare più una lotteria che un reale strumento di crescita. L’idea iniziale è allettante: risorse pubbliche per sostenere l’innovazione, la digitalizzazione, la transizione ecologica. Ma la realtà è spesso un’altra. In pochi secondi – letteralmente – le risorse si esauriscono. Tutto si gioca sulla velocità con cui si invia la domanda, non sulla qualità del progetto. E chi non riesce a cliccare nel millisecondo giusto resta fuori. Anche se ha investito mesi di lavoro, pagato consulenti, predisposto documenti, calcoli, strategie.

Ci sono imprese che si preparano per mesi, magari affidandosi a società di consulenza specializzate, per poi vedersi escluse semplicemente perché la connessione era più lenta del previsto. La frustrazione è doppia: non solo si perde l’occasione, ma si sono già spese risorse importanti. I numeri parlano chiaro. In certi bandi, come quelli per macchinari innovativi o digitalizzazione, il 90-95% delle domande viene scartato non per mancanza di requisiti, ma per mancanza di fondi. E in alcuni casi le risorse si esauriscono in meno di dieci secondi. Non è difficile capire perché molti inizino a guardare questi bandi con sospetto, come fossero più un click bait ben confezionato che una reale opportunità.

Intanto, intorno a questi bandi cresce un ecosistema di società che offrono pacchetti “chiavi in mano” per presentare la domanda in modo ultrarapido, spesso con software automatizzati. La selezione, però, non premia il merito né la visione imprenditoriale, ma la rapidità tecnica. E così si crea un cortocircuito: l’impresa si impegna, si organizza, investe… e poi si ritrova con un pugno di mosche.

La domanda allora sorge spontanea: non sarebbe più sensato dirottare tutte queste energie verso una direzione diversa? Invece di rincorrere contributi aleatori, perché non puntare a rafforzare davvero la struttura dell’impresa?

Molte PMI avrebbero tutto da guadagnare se concentrassero i loro sforzi su una gestione trasparente, su bilanci ordinati, su un controllo di gestione serio e continuo. Strumenti come il business plan, il budget, il cash flow previsionale, se ben costruiti e aggiornati, diventano armi potentissime per attrarre capitali, sia in forma di credito che di investimenti. Anche la governance conta: chiarezza nei ruoli, regole interne definite, compliance normativa. Tutti elementi che agli occhi di un investitore o di un istituto di credito fanno la differenza.

Le opportunità vere esistono, ma non si trovano nel centesimo di secondo di un click. Si trovano nella capacità di rendersi solidi, credibili, scalabili. Molte agevolazioni non prevedono click day, ma premiano chi dimostra di avere una struttura sana e obiettivi chiari. Il credito ordinario, se ben negoziato e supportato da garanzie pubbliche, può essere una leva potente. E c’è tutto un mondo di investitori, anche in Italia, che cerca PMI ben gestite in cui entrare con capitale di rischio.

Alla fine, tutto si gioca su una scelta strategica. Continuare a inseguire bandi ipercompetitivi nella speranza di un contributo a fondo perduto, o lavorare per costruire un’impresa davvero appetibile per il mercato. Forse sarebbe il caso di spostare il click dal portale del Ministero al pulsante “trasformazione interna”. Meno spettacolare, certo. Ma infinitamente più solido.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

26/03/2025

Chi davvero vuole trova la strada

Chi davvero vuole, trova la strada; chi si aggrappa alle scuse, trova negli ostacoli un alibi.

Potrà sembrare un’affermazione banale o retorica, ma la capacità di non arrendersi di fronte alle difficoltà e di non fermarsi al terzo “no” è una qualità imprenditoriale fondamentale per il successo a lungo termine. Certo, non basta solo la determinazione: servono molte altre competenze e caratteristiche, che si possono apprendere e sviluppare. Tuttavia, senza questa energia interiore, si rischia di essere come le rive sabbiose battute dalle onde: le difficoltà finiscono per travolgerci e cancellare ciò che abbiamo costruito. Per avere successo, bisogna essere solidi come la roccia e flessibili come l’acqua.

Questo principio non vale solo per l’imprenditoria, ma per la crescita personale e la resilienza in ogni ambito della vita. La capacità di superare gli ostacoli distingue chi raggiunge i propri obiettivi da chi si arrende alle prime difficoltà.

La metafora della roccia e dell’acqua è particolarmente efficace: la solidità permette di mantenere la direzione senza lasciarsi travolgere dagli imprevisti, mentre la flessibilità consente di adattarsi ai cambiamenti senza spezzarsi. Troppa rigidità può portare alla rottura sotto la pressione, mentre un’eccessiva morbidezza rischia di disperdere le energie senza risultati concreti.

In campo imprenditoriale, così come nella vita, il successo è spesso il risultato dell’equilibrio tra resilienza e capacità di apprendimento. Saper trasformare i fallimenti in lezioni preziose e avere la costanza di proseguire sono elementi chiave. Come diceva Thomas Edison:

“Molti dei fallimenti della vita sono di persone che non si resero conto di quanto fossero vicine al successo quando si arresero.”

Le difficoltà, spesso viste come ostacoli, possono essere invece occasioni per distinguersi, per trovare soluzioni innovative e per compiere quel salto di qualità che fa avanzare aziende e organizzazioni. Non si tratta solo di resistenza o determinazione, ma di visione: la capacità di guardare oltre il problema e scorgere nuove opportunità di miglioramento, innovazione ed efficienza.

Le situazioni critiche mettono alla prova, ma proprio in quei momenti emergono le intuizioni più brillanti. Le crisi evidenziano inefficienze, costringono a ripensare le strategie e aiutano a distinguere ciò che funziona davvero da ciò che deve essere cambiato. Chi sa leggere tra le righe non si limita a superare l’ostacolo, ma lo trasforma in un trampolino di crescita, apprendimento ed evoluzione.

Il mercato premia chi sa adattarsi e anticipare il cambiamento. Non sopravvive chi è più forte o più intelligente, ma chi è capace di restare flessibile, comprendere il contesto e trovare nuove strade. La continuità e il successo derivano proprio da questa mentalità: non fermarsi di fronte ai problemi, ma usarli come occasione per migliorarsi.

La capacità di trasformare le difficoltà in opportunità non è solo una questione di resilienza, ma anche di strategia e innovazione. Le aziende e le organizzazioni che vedono le crisi come occasioni per differenziarsi non solo sopravvivono ai momenti difficili, ma spesso ne escono più forti, consolidando il proprio vantaggio competitivo.

La storia dell’imprenditoria è ricca di esempi di aziende che, anziché lasciarsi schiacciare dalle difficoltà, hanno trovato in esse lo stimolo per reinventarsi. Netflix, nata come servizio di noleggio DVD, ha saputo anticipare il boom dello streaming, trasformandosi prima che il mercato la rendesse obsoleta. Amazon, inizialmente un negozio online di libri, ha sfruttato le sfide della logistica tradizionale per sviluppare una rete di distribuzione efficiente, oggi alla base del suo dominio globale.

Le aziende di successo non si limitano a resistere alle onde del cambiamento, le cavalcano, trasformando le difficoltà in slancio competitivo. Questa è la differenza tra chi subisce il cambiamento e chi lo guida.

E secondo voi, quali sono le caratteristiche chiave che permettono alle aziende di trasformare le difficoltà in opportunità?

Articolo di Marco Simontacchi

05/03/2025

Nuove sfide all’orizzonte

Le piccole e medie imprese (PMI) italiane si trovano ad affrontare una serie di nuove sfide legate ai rischi geopolitici e all’introduzione di nuovi dazi, che stanno aumentando il rischio di default. Questi fattori esterni stanno creando un ambiente economico incerto, mettendo a dura prova la resilienza delle PMI, che rappresentano il cuore pulsante dell’economia italiana.

Innanzitutto, i rischi geopolitici stanno diventando sempre più rilevanti per le PMI italiane. Le tensioni internazionali, come i conflitti commerciali tra grandi potenze economiche, possono avere ripercussioni significative sulle catene di approvvigionamento globali. Le PMI, che spesso operano con margini di profitto ridotti e dipendono da fornitori esteri per materie prime e componenti, possono trovarsi in difficoltà se queste catene vengono interrotte o se i costi di approvvigionamento aumentano improvvisamente. Inoltre, l’instabilità politica in alcune regioni del mondo può rendere più difficile l’accesso a nuovi mercati, limitando le opportunità di espansione per le PMI.

Un altro fattore critico è l’introduzione di nuovi dazi, che può avere un impatto diretto sui costi operativi delle PMI. I dazi sono tariffe imposte sui beni importati e possono essere utilizzati come strumento di politica commerciale per proteggere le industrie nazionali. Tuttavia, per le PMI che importano materie prime o componenti dall’estero, l’aumento dei dazi può tradursi in un aumento dei costi di produzione. Questo può rendere i loro prodotti meno competitivi sul mercato interno e internazionale, riducendo i margini di profitto e aumentando il rischio di insolvenza.

Inoltre, i nuovi dazi possono anche influenzare la domanda di beni e servizi prodotti dalle PMI italiane. Se i partner commerciali rispondono con misure protezionistiche, le esportazioni italiane potrebbero subire un calo, riducendo ulteriormente i ricavi delle PMI. Questo scenario è particolarmente preoccupante per le imprese che operano in settori fortemente orientati all’esportazione, come il manifatturiero e l’agroalimentare.

Per mitigare questi rischi, le PMI italiane devono adottare strategie proattive. Diversificare i fornitori e i mercati di esportazione può aiutare a ridurre la dipendenza da singoli paesi o regioni, rendendo le imprese più resilienti di fronte a shock geopolitici. Inoltre, investire in innovazione e digitalizzazione può migliorare l’efficienza operativa e aprire nuove opportunità di business. Tuttavia, queste misure richiedono risorse finanziarie e competenze che non tutte le PMI possono permettersi, soprattutto in un contesto di incertezza economica.

I rischi geopolitici e i nuovi dazi stanno creando un ambiente economico più sfidante per le PMI italiane, aumentando il rischio di default. Per affrontare queste sfide, è essenziale che le imprese adottino strategie di adattamento e che le istituzioni pubbliche forniscano supporto attraverso politiche mirate e accesso a finanziamenti. Solo attraverso un approccio collaborativo sarà possibile sostenere la resilienza delle PMI e garantire la loro competitività sui mercati globali.

 

Nonostante i rischi geopolitici e i nuovi dazi rappresentino sfide significative per le piccole e medie imprese (PMI) italiane, queste situazioni possono anche nascondere opportunità che le imprese più lungimiranti e innovative possono sfruttare a loro vantaggio.

Innanzitutto, le tensioni geopolitiche possono spingere le PMI a esplorare nuovi mercati e a diversificare le loro attività. Quando le tradizionali rotte commerciali diventano incerte o costose, le imprese possono essere incentivate a cercare alternative. Questo può portare alla scoperta di nuovi partner commerciali in regioni emergenti, dove la concorrenza potrebbe essere meno intensa e le opportunità di crescita più promettenti. Ad esempio, alcune PMI potrebbero trovare vantaggioso espandersi in mercati come l’Africa subsahariana o il Sud-Est asiatico, dove la domanda di beni e servizi è in aumento.

Inoltre, l’introduzione di nuovi dazi può stimolare l’innovazione e l’efficienza interna. Le imprese potrebbero essere spinte a rivedere i loro processi produttivi per ridurre i costi e migliorare la competitività. Questo può includere l’adozione di nuove tecnologie, l’automazione dei processi e l’ottimizzazione della gestione delle risorse. Investire in innovazione può non solo aiutare le PMI a superare le difficoltà immediate, ma anche a posizionarsi meglio sul mercato a lungo termine.

Un altro aspetto positivo è la possibilità di rafforzare le filiere locali. Con l’aumento dei costi delle importazioni, le PMI potrebbero trovare conveniente collaborare con fornitori locali, creando così reti di approvvigionamento più resilienti e sostenibili. Questo non solo riduce la dipendenza dalle importazioni, ma può anche contribuire allo sviluppo economico regionale, creando un circolo virtuoso di crescita e occupazione.

Le PMI possono anche beneficiare di politiche di sostegno messe in atto da governi e istituzioni per contrastare gli effetti negativi dei dazi e delle tensioni geopolitiche. Questi supporti possono includere agevolazioni fiscali, finanziamenti a tassi agevolati e programmi di formazione per migliorare le competenze del personale. Le imprese che sanno sfruttare queste opportunità possono rafforzare la loro posizione competitiva e prepararsi meglio ad affrontare future sfide.

Infine, le crisi possono spesso portare a un cambiamento nei comportamenti dei consumatori e nelle dinamiche di mercato, aprendo nuove nicchie di mercato. Le PMI che sono in grado di adattarsi rapidamente a questi cambiamenti possono trovare nuove opportunità di business. Ad esempio, la crescente attenzione alla sostenibilità e alla responsabilità sociale d’impresa può creare nuove domande per prodotti e servizi eco-friendly, un’area in cui le PMI italiane possono eccellere grazie alla loro flessibilità e capacità di innovazione.

Sebbene i rischi geopolitici e i nuovi dazi rappresentino sfide significative, essi possono anche offrire opportunità nascoste per le PMI italiane. Diversificare i mercati, investire in innovazione, rafforzare le filiere locali e sfruttare i supporti istituzionali sono tutte strategie che possono trasformare queste sfide in occasioni di crescita e sviluppo.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

19/02/2025

Time management: una piaga per le PMI

Il time management è uno di quei concetti di cui tutti parlano, ma che pochi riescono davvero ad applicare. In teoria, sappiamo benissimo quanto sia importante organizzare il tempo in modo efficace per migliorare la produttività e ridurre lo stress. Eppure, nella realtà quotidiana, soprattutto nelle piccole e medie imprese, ci si trova sempre in affanno, rincorrendo scadenze, tamponando emergenze e affrontando le giornate con l’affanno di chi ha sempre troppo da fare e troppo poco tempo per farlo.

Le PMI soffrono particolarmente questa dinamica. Risorse limitate, ruoli spesso sovrapposti, la necessità di gestire ogni aspetto dell’attività: tutto questo crea un contesto in cui il tempo sembra sempre sfuggire di mano. I titolari e i manager si trovano coinvolti in mille questioni operative, passano da una riunione all’altra, rispondono a telefonate e mail senza soluzione di continuità, e alla fine della giornata si rendono conto di non aver dedicato neanche un minuto a ciò che davvero conta per il futuro dell’azienda.

Una delle trappole più comuni è quella dell’urgenza. Si tende a dare la priorità a ciò che scotta nel momento, lasciando in secondo piano attività più importanti ma meno immediate. Si vive nella convinzione che ogni problema debba essere affrontato subito, che ogni richiesta vada gestita nell’immediato, e così ci si ritrova sommersi da incombenze che riempiono la giornata senza lasciare spazio a una vera visione strategica.

Le e-mail, per esempio. Ogni notifica sembra una questione urgente, e appena ne arriva una, scatta l’istinto di aprirla e rispondere. Il problema è che queste continue interruzioni impediscono di concentrarsi su attività realmente produttive. Lo stesso accade con le riunioni: quante ore vengono spese in discussioni che potrebbero essere risolte con una semplice comunicazione più efficace? La verità è che molte delle cose che sembrano urgenti non lo sono affatto. Ma fino a quando si resta intrappolati in questo meccanismo, si continuerà a rincorrere il tempo senza mai sentirsi davvero padroni delle proprie giornate.

Un’altra grande perdita di tempo è l’attenzione eccessiva ai dettagli di poco conto. Succede spesso nelle PMI, dove titolari e manager tendono a voler tenere tutto sotto controllo. Il risultato? Ore intere spese su problemi operativi minori, mentre le questioni più strategiche vengono rimandate.

È facile cadere nella tentazione di occuparsi di tutto: il sito web ha un piccolo errore? Meglio mettersi subito a sistemarlo. Un cliente ha una richiesta fuori standard? Ci si ferma per gestirla direttamente. Una questione amministrativa richiede una firma? Ci si ritrova a perdere mezz’ora per risolverla. Ogni singola azione sembra giustificata, ma sommate insieme, queste attività frammentano la giornata e lasciano pochissimo spazio alle decisioni veramente importanti. Il problema è che questa continua immersione nel dettaglio dà l’illusione di essere produttivi, mentre in realtà si è solo occupati.

Non è facile cambiare abitudini, ma con qualche piccolo accorgimento si può iniziare a prendere in mano la propria gestione del tempo. La prima cosa da fare è distinguere tra ciò che è davvero importante e ciò che invece è solo urgente. Non tutto ciò che richiede attenzione immediata merita di essere una priorità. Bisognerebbe invece chiedersi: questa attività contribuirà davvero alla crescita dell’azienda? O è solo un’altra piccola emergenza che domani verrà dimenticata?

Un’altra strategia efficace è la pianificazione. Non basta fare una lista di cose da fare: bisogna decidere in anticipo quando e come affrontarle, assegnando loro il giusto peso. Se si inizia la giornata senza un piano chiaro, si finisce per essere risucchiati dalle contingenze.

Poi c’è il problema delle distrazioni. E-mail, notifiche, telefonate improvvise: tutto questo frammenta il tempo e abbassa la produttività. Spegnere le notifiche per qualche ora, dedicare blocchi di tempo specifici a determinati compiti e ridurre le riunioni inutili può fare una grande differenza.

Ma la vera svolta arriva quando si impara a delegare. Troppe volte nelle PMI si pensa che “se lo faccio io, lo faccio meglio e più in fretta”. È un errore enorme. Delegare non significa perdere il controllo, ma liberare tempo per concentrarsi su ciò che davvero conta. Inoltre, l’automazione può essere un grande alleato: oggi esistono strumenti digitali per gestire in maniera più efficiente contabilità, comunicazione, project management. Perché non sfruttarli?

Infine, serve un cambio di mentalità: il tempo dedicato alla pianificazione e all’organizzazione non è mai tempo perso. Anzi, è l’unico modo per smettere di essere sempre in affanno e iniziare finalmente a lavorare con lucidità.

Nelle PMI, la cattiva gestione del tempo è una delle principali cause di inefficienza e stress. Troppe aziende lavorano sempre in emergenza, senza mai fermarsi a pianificare in modo strategico. Ma continuare a inseguire urgenze e dettagli inutili porta solo a sprechi di energia e a un senso di frustrazione costante.

Il segreto sta nel cambiare approccio: smettere di essere reattivi e iniziare a essere proattivi. Smettere di confondere l’essere occupati con l’essere produttivi. E soprattutto, iniziare a vedere il tempo non come un nemico da rincorrere, ma come una risorsa preziosa da gestire con intelligenza. Solo così si potrà trasformarlo in un vero alleato per la crescita e il successo dell’azienda.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

04/02/2025

Modelli di business vincenti

Sviluppare un modello di business è un processo che richiede attenzione, creatività e una profonda comprensione del contesto in cui si opera. Tutto inizia con l’analisi del mercato, cercando di identificare tendenze, bisogni emergenti e opportunità. È fondamentale capire chi sono i concorrenti, quali strategie adottano e in che modo ci si può differenziare per creare valore. Questo passaggio è cruciale per individuare il problema specifico che si intende risolvere e per definire la direzione dell’intero progetto.

Al cuore di un modello di business c’è la proposta di valore. Questa deve essere chiara, convincente e unica. Bisogna chiedersi: cosa offro che gli altri non possono offrire? Quale bisogno soddisfo e in che modo miglioro la vita dei miei clienti? Una proposta di valore ben definita è ciò che attira e trattiene i clienti; perciò, deve essere costruita pensando ai loro bisogni, aspettative e aspirazioni.

Parallelamente, è necessario identificare con precisione i segmenti di clientela a cui ci si vuole rivolgere. Non si può piacere a tutti, quindi è meglio concentrarsi su gruppi specifici di persone che condividono caratteristiche simili. Immaginare un cliente ideale, con i suoi comportamenti, le sue abitudini e i suoi problemi, aiuta a rendere più concreto il lavoro e a creare soluzioni su misura.

Una volta individuati i clienti e definita la proposta di valore, si passa a pensare a come raggiungerli e servire le loro necessità. Questo include sia i canali di comunicazione che quelli di distribuzione. Ad esempio, si può decidere di utilizzare i social media, eventi o campagne pubblicitarie per comunicare il valore del proprio prodotto, mentre per la distribuzione si possono sfruttare piattaforme online, negozi fisici o collaborazioni con distributori. La scelta dei canali giusti è cruciale per costruire un rapporto efficace e diretto con il cliente.

Un aspetto altrettanto importante è stabilire come mantenere e sviluppare relazioni con i clienti. Questo può avvenire attraverso supporto personalizzato, esperienze memorabili o sistemi di fidelizzazione, come programmi di premi o contenuti esclusivi. L’obiettivo non è solo attirare clienti, ma anche costruire legami duraturi basati sulla fiducia e sul valore percepito.

Definire le fonti di ricavo è un altro tassello essenziale. Occorre chiedersi come generare entrate: attraverso vendite dirette, abbonamenti, licenze o modelli innovativi come il pay-per-use? È altrettanto importante stabilire una strategia di prezzo che sia sostenibile e competitiva, tenendo conto dei costi e del valore percepito dal cliente.

Il modello di business richiede inoltre di individuare quali siano le attività e le risorse chiave necessarie per funzionare. Potrebbero includere la produzione, la ricerca e sviluppo, il marketing o la logistica. In questo processo, le partnership possono giocare un ruolo strategico. Collaborare con fornitori, distributori o altre organizzazioni può aiutare a migliorare l’efficienza e raggiungere nuovi mercati.

Ogni decisione deve essere accompagnata da un’analisi attenta dei costi. È importante distinguere tra costi fissi, come affitti o stipendi, e costi variabili, legati alla produzione o alla distribuzione. Ottimizzare le spese senza compromettere la qualità è una sfida che richiede creatività e attenzione.

Per rendere il tutto più chiaro e strutturato, è utile ricorrere a strumenti come il Business Model Canvas, che permette di visualizzare in modo semplice e organizzato tutti gli elementi del modello. Tuttavia, non basta una pianificazione teorica: il modello va testato sul campo. Creare un prototipo o un MVP (Minimum Viable Product) consente di raccogliere feedback reali dai clienti e di migliorare il progetto prima del lancio definitivo.

Infine, una volta validato, il modello di business deve essere implementato e messo in pratica attraverso un piano operativo dettagliato. L’obiettivo finale è rendere il modello scalabile, in modo da poter crescere ed espandersi, che si tratti di raggiungere nuovi mercati, sviluppare nuovi prodotti o attirare più clienti.

L’intero processo è iterativo: non si tratta di creare un piano perfetto al primo tentativo, ma di adattarlo e migliorarlo costantemente, basandosi sui risultati concreti e sulle esigenze del mercato, un aggiustamento di esattezza basato su un PDCA (Plan Do Check Act). È proprio questa flessibilità che permette a un modello di business di evolversi e prosperare nel tempo.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

28/01/2025

Professioni in ascesa

Negli ultimi anni, il panorama economico italiano ha vissuto una trasformazione profonda, influenzata da vari fattori quali la digitalizzazione, la globalizzazione e la crescente attenzione alla sostenibilità. Questi cambiamenti hanno determinato l’ascesa di alcune professioni e la necessità di nuove competenze, rendendo il mercato del lavoro un terreno in continua evoluzione. Tra le professioni emergenti, si collocano quelle legate all’innovazione tecnologica, alla transizione ecologica e ai nuovi modelli organizzativi. In questo contesto, il temporary management rappresenta un caso interessante da analizzare.

La digitalizzazione ha dato vita a una crescente domanda di professionisti nel settore tecnologico. Figure come sviluppatori software, esperti di intelligenza artificiale, analisti di dati e specialisti in cybersecurity sono diventate centrali per molte aziende. Questi ruoli non solo supportano la trasformazione digitale delle imprese, ma spesso ne guidano la strategia e l’innovazione.

Parallelamente, la transizione verso modelli economici più sostenibili ha stimolato la richiesta di esperti in sostenibilità, energie rinnovabili e gestione ambientale. La crescita di settori come l’economia circolare e le energie verdi ha creato opportunità per ingegneri ambientali, consulenti di sostenibilità e manager della transizione ecologica.

Inoltre, l’evoluzione dei modelli organizzativi sta aprendo nuove strade. Il lavoro da remoto e l’adozione di strutture aziendali più flessibili hanno accresciuto l’importanza di figure come gli esperti di gestione del cambiamento, i coach aziendali e i manager specializzati nella gestione di progetti complessi.

Il temporary management, inteso come l’affidamento temporaneo della gestione aziendale a professionisti esterni altamente qualificati, si sta affermando come una soluzione strategica per molte imprese italiane. Questo modello è particolarmente adatto in situazioni di cambiamento, crisi o trasformazione, dove la rapidità e l’esperienza sono essenziali per garantire il successo.

La crescita del temporary management è trainata da diversi fattori. Innanzitutto, la globalizzazione e la competitività del mercato richiedono alle imprese di adattarsi rapidamente a nuove sfide e opportunità. I temporary manager, grazie alla loro esperienza e flessibilità, rappresentano una risorsa preziosa per affrontare queste situazioni senza dover necessariamente assumere personale a lungo termine.

In secondo luogo, molte aziende italiane, soprattutto le piccole e medie imprese (PMI), affrontano carenze di competenze interne nei momenti di crescita o trasformazione. Il temporary management offre una soluzione efficace per colmare queste lacune, consentendo alle PMI di accedere a competenze manageriali di alto livello senza un impegno permanente.

Infine, la cultura aziendale sta cambiando, con un maggiore riconoscimento dell’importanza della flessibilità e della diversificazione delle competenze. Questo ha reso il temporary management una scelta sempre più popolare per aziende di diverse dimensioni e settori.

Il temporary management si inserisce a pieno titolo tra le professioni in ascesa in Italia, grazie alla sua capacità di rispondere alle esigenze di un mercato del lavoro sempre più dinamico e complesso. Tuttavia, il successo di questa professione dipende anche dalla capacità delle imprese di comprendere appieno i benefici che essa può offrire, nonché dalla disponibilità di professionisti altamente qualificati e pronti a mettersi in gioco.

In definitiva, il panorama economico italiano offre ampie opportunità per chi è disposto a investire in formazione, innovazione e adattabilità. In questo contesto, il temporary management emerge come una soluzione strategica che combina esperienza, flessibilità e visione per guidare le aziende verso il successo in un’epoca di grandi cambiamenti.

Errare humanum est: trasformare un errore in un’opportunità di fiducia

Nessuno è immune dagli errori, specialmente nel contesto lavorativo. Tuttavia, ciò che distingue un professionista eccellente da uno mediocre è il modo in cui affronta e gestisce un errore. Come dice il famoso adagio “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”, sbagliare può capitare, ma è la reazione all’errore che fa la differenza tra perdere un cliente e rafforzarne la fiducia.

Quando tutto va per il verso giusto, è facile ricevere elogi e apprezzamenti dai clienti. Tuttavia, il vero valore di un professionista o di un’azienda emerge quando qualcosa non funziona come previsto. I clienti non pretendono la perfezione, ma vogliono sapere che il loro fornitore è in grado di affrontare i problemi con competenza e prontezza. Una reazione efficace non solo riduce il disagio, ma può persino trasformare una situazione difficile in un’opportunità per rafforzare la relazione.

Di fronte a un errore, è naturale cercare di minimizzare l’accaduto o negare la responsabilità per proteggere la propria immagine. Ma questa strategia rischia di peggiorare le cose. Secondo uno studio della Harvard Business Review, il 37% dei clienti considera la trasparenza nella gestione dei problemi un fattore chiave per mantenere la fiducia. Negare un errore o cercare di sminuirlo può aumentare il malcontento, rendendo molto più difficile riconquistare la stima del cliente.

Affrontare un errore in modo efficace richiede innanzitutto sincerità. Ammettere l’errore con trasparenza non è solo un atto di onestà, ma un modo per creare empatia con il cliente e dimostrare consapevolezza. Una volta riconosciuto il problema, è essenziale capire l’impatto che ha avuto: analizzare le conseguenze permette di dimostrare attenzione e rispetto nei confronti del disagio arrecato.

Il passo successivo è offrire una soluzione tempestiva e concreta. Questo non significa soltanto risolvere il problema, ma farlo in modo rapido e professionale, trasmettendo un messaggio chiaro: si è impegnati a correggere l’errore e a garantire che non si ripeta. Infine, per trasformare l’intera esperienza in qualcosa di positivo, un piccolo gesto compensativo può fare una grande differenza. Che si tratti di uno sconto, un servizio aggiuntivo o un’altra forma di valore aggiunto, questi accorgimenti lasciano nel cliente un’impressione di cura e attenzione, mitigando l’effetto negativo dell’errore iniziale.

I dati parlano chiaro: secondo un report di Zendesk del 2022, l’89% dei clienti è disposto a dare una seconda possibilità a chi risolve in modo soddisfacente un errore. Inoltre, l’80% valuta positivamente un’azienda che offre una compensazione per il disagio subito, mentre il 70% afferma che una gestione proattiva dei problemi aumenta la fedeltà e la fiducia verso il brand.

Questi numeri evidenziano quanto sia cruciale affrontare gli errori con trasparenza e offrire soluzioni concrete. Un cliente soddisfatto della gestione di un problema è più incline a rimanere fedele e a raccomandare il servizio ad altri.

Gestire un errore con professionalità non è solo una questione di etica, ma anche una strategia vincente. Un cliente che percepisce impegno e attenzione nella risoluzione dei problemi può diventare un ambasciatore del marchio, contribuendo a rafforzarne la reputazione. In fondo, tutti sono bravi quando le cose vanno bene; è nelle difficoltà che si costruisce una vera credibilità.

In definitiva, imparare a trasformare gli errori in opportunità non solo aiuta a prevenire feedback negativi, ma rafforza anche la fiducia e la fedeltà dei clienti. E, in un mercato sempre più competitivo, queste qualità possono rappresentare la chiave per il successo.

Il difficile equilibrio della consulenza

Essere un temporary manager o un consulente implica spesso il compito delicato di sfidare il pensiero dominante di un imprenditore o di un management. Si tratta di un ruolo complesso, che richiede equilibrio tra l’assumere posizioni scomode e mantenere la relazione fiduciaria. Il rischio più grande? Diventare complici di un disastro per evitare di incrinare il rapporto, oppure, all’opposto, irrigidirsi al punto da compromettere la fiducia. In tutto questo, però, chi si limita a seguire gli schemi di pensiero del committente senza offrire un punto di vista critico rischia di essere una minaccia per la salute dell’azienda.

I bias cognitivi, come quello di conferma, sono una trappola pericolosa. È facile per imprenditori e manager cercare solo le informazioni che supportano le loro convinzioni, ignorando tutto ciò che le contraddice. Proprio qui entra in gioco il valore del consulente o del temporary manager: offrire una prospettiva esterna, libera da pregiudizi interni, capace di sfidare le convinzioni radicate. Ma come farlo senza creare fratture insanabili?

Innanzitutto, bisogna partire dai dati. Non c’è nulla di più efficace di un’analisi oggettiva e solida per aprire un dialogo. Inoltre, porre domande strategiche può essere un’arma potente: chiedere “Cosa accadrebbe se questa ipotesi fosse sbagliata?” o “Quali sono i rischi che stiamo sottovalutando?” non solo stimola la riflessione, ma coinvolge il management in un processo di esplorazione condivisa.

L’empatia è un altro elemento cruciale. Quando il consulente dimostra di comprendere le paure e le resistenze di chi ha di fronte, il confronto smette di essere percepito come una sfida e diventa un’opportunità. E qui entra in gioco anche la capacità di saper dosare i tempi: introdurre cambiamenti troppo radicali, troppo in fretta, può generare rigetto. A volte, un approccio graduale, che permetta di costruire fiducia passo dopo passo, è la scelta più saggia.

Ovviamente, ci sono momenti in cui non si può scendere a compromessi. Se il contesto o le decisioni rischiano di portare l’azienda al disastro, il consulente deve essere pronto a esporsi, anche correndo il rischio di incrinare il rapporto. La credibilità professionale e i valori etici devono sempre rimanere il faro guida: accettare di essere “complici” di un errore macroscopico può danneggiare non solo l’azienda, ma anche la propria reputazione.

Chi si limita a seguire passivamente gli schemi di pensiero del committente non sta facendo il suo lavoro. Non sta apportando valore, non sta proteggendo l’azienda dai rischi, e soprattutto non sta garantendo un reale contributo trasformativo. È solo un esecutore, privo di quella visione critica che fa la differenza.

Essere un temporary manager o un consulente significa quindi camminare su una linea sottile. Vuol dire essere specchi critici ma costruttivi, alleati del cambiamento ma mai complici dell’immobilismo. Vuol dire saper dire la verità, anche quando non è comoda, e farlo con il giusto mix di rispetto e fermezza. Alla fine, ciò che fa la differenza non è solo quello che si dice, ma come lo si dice. È questa la vera arte del consulente: trasformare visioni critiche in opportunità di crescita.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

19/12/24

Gestione del tempo

La gestione del tempo è diventata una sfida sempre più ardua nel contesto moderno, caratterizzato da un ritmo incessante e da una crescente complessità operativa. Questo fenomeno interessa particolarmente imprenditori e manager, che si trovano a dover fronteggiare una molteplicità di urgenze, spesso a scapito delle reali priorità.

L’avvento della tecnologia ha rivoluzionato il modo di lavorare, fornendo strumenti sempre più veloci e connessi. Paradossalmente, però, questi strumenti, pensati per semplificare e ottimizzare il lavoro, hanno finito per amplificarne la complessità. La possibilità di essere costantemente raggiungibili ha annullato i confini tra vita lavorativa e privata, mentre l’accesso immediato a informazioni e comunicazioni ha creato un flusso continuo di richieste, spesso urgenti ma non necessariamente importanti.

Un altro elemento cruciale è rappresentato dalla crescente burocratizzazione dei processi. Gli obblighi normativi, le procedure di compliance e i requisiti di sicurezza, pur necessari, aggiungono strati di complessità che richiedono tempo e risorse significative. Questo scenario si combina con la cultura dell’urgenza, dove tutto sembra avere la massima priorità, generando una spirale di stress e inefficienza.

Le ripercussioni di questa dinamica sono profonde e toccano diversi ambiti. Sul piano personale, imprenditori e manager si trovano spesso sovraccarichi, con ripercussioni negative sulla salute fisica e mentale. Burnout, ansia e difficoltà di concentrazione sono diventati fenomeni sempre più diffusi. Sul piano organizzativo, la mancanza di una gestione efficace del tempo può portare a decisioni affrettate, cali di produttività e difficoltà nel raggiungere gli obiettivi strategici.

Inoltre, la costante pressione di dover rispondere alle urgenze rischia di soffocare la creatività e l’innovazione, elementi fondamentali per il successo a lungo termine di un’azienda. Le priorità strategiche finiscono spesso per essere trascurate, poiché il tempo viene assorbito da attività operative e contingenti.

Nonostante il quadro complesso, esistono soluzioni e strategie che possono offrire speranza per un miglioramento. Una di queste è l’adozione di una cultura organizzativa orientata alla prioritizzazione e alla delega. Strumenti come la matrice di Eisenhower o il metodo OKR (Objectives and Key Results) possono aiutare a distinguere ciò che è realmente importante da ciò che è solo urgente, permettendo una gestione più consapevole del tempo.

Un altro aspetto cruciale è rappresentato dalla formazione e dal supporto psicologico per imprenditori e manager. Promuovere la consapevolezza dell’importanza del work-life balance e fornire strumenti per la gestione dello stress possono contribuire a creare ambienti di lavoro più sani e produttivi.

Infine, la tecnologia stessa può essere parte della soluzione, se utilizzata in modo intelligente. Automazione, intelligenza artificiale e strumenti di project management avanzati possono ridurre il carico di lavoro ripetitivo, liberando tempo per attività ad alto valore aggiunto.

La gestione del tempo rappresenta una sfida cruciale nel contesto lavorativo contemporaneo, soprattutto per imprenditori e manager. Sebbene la tecnologia e la complessità burocratica abbiano contribuito a complicare il panorama, esistono strategie e strumenti che possono aiutare a riprendere il controllo. La chiave risiede nell’adottare un approccio consapevole, che metta al centro la priorità strategica, il benessere personale e l’utilizzo intelligente delle risorse disponibili. Solo così sarà possibile trasformare una sfida in un’opportunità per il futuro.

Noi siamo sotto pressione come voi, ma ci stiamo lavorando.

Articolo di Marco Simontacchi

11/12/24

Stiamo tornando alla sostanza?

Vale la pena mettere in luce un cambiamento significativo nel mercato globale, in particolare nel settore automobilistico. La tendenza mostrata dai mercati riflette un mutamento culturale ed economico in cui i consumatori stanno diventando sempre più attenti e consapevoli, cercando un equilibrio tra qualità, prezzo e valore reale. Questa dinamica potrebbe essere vista come un ritorno alla sostanza rispetto alla pura apparenza.

Il declino della fedeltà ai brand storici potrebbe essere un valido segnale.

I marchi automobilistici tradizionali, per anni sinonimo di prestigio e innovazione, hanno spesso puntato sul valore percepito del brand piuttosto che su quello effettivo del prodotto. Tuttavia, i consumatori stanno iniziando a mettere in discussione il costo di questa fedeltà, soprattutto quando notano un calo della qualità o un aumento dei prezzi sproporzionato rispetto ai miglioramenti tecnologici. Solo a titolo esemplificativo possiamo citare alcuni fattori.

Affidabilità percepita: alcuni marchi storici sono stati associati a problemi di affidabilità negli ultimi anni, erodendo la loro reputazione.

Innovazione stagnante: molti marchi tradizionali sono stati lenti nell’adottare tecnologie emergenti come la mobilità elettrica o i sistemi di guida assistita rispetto a nuovi entranti o competitor orientali.

Le case automobilistiche asiatiche, in particolare dalla Corea del Sud e dalla Cina, hanno guadagnato terreno offrendo prodotti con un rapporto qualità-prezzo competitivo. Alcuni fattori chiave hanno inciso.

Con una produzione efficiente queste aziende hanno ottimizzato le loro filiere produttive, riducendo i costi senza compromettere la qualità.

La focalizzazione sul cliente, molte aziende orientali investono in ricerche per capire cosa desiderano i consumatori, offrendo garanzie più lunghe e caratteristiche standard più complete.

Innovazione tecnologica, in particolare nel settore dei veicoli elettrici (ad esempio BYD, NIO e MG), molte case asiatiche stanno sorpassando i competitor occidentali con tecnologie avanzate a prezzi accessibili.

Un cambio di paradigma pare essere in atto: la riscoperta della sostanza

Il motto “malo esse quam videri” (preferisco essere piuttosto che sembrare) riflette perfettamente la direzione che il mercato sta prendendo:

Trasparenza e autenticità vanno a braccetto, i consumatori moderni sono più informati e chiedono maggiore trasparenza. Le aziende che puntano solo sull’apparenza vengono spesso penalizzate.

Valore tangibile è quanto il mercato ormai chiede, la domanda di prodotti che abbiano un valore reale, che durino nel tempo e che siano sostenibili è in crescita.

Sostenibilità come fattore chiave, le nuove generazioni stanno guidando una transizione verso scelte più responsabili. Marchi che non integrano pratiche sostenibili rischiano di perdere terreno.

Le aziende che sapranno prosperare in questo contesto saranno quelle capaci di combinare:

Qualità reale e percepita: costruendo prodotti affidabili e innovativi.

Prezzi equi: mantenendo un rapporto qualità-prezzo competitivo.

Autenticità e trasparenza: conquistando la fiducia dei consumatori attraverso azioni concrete, non solo marketing.

L’era degli “specchietti per le allodole” sembra avviarsi verso il tramonto, sostituita da un mercato più meritocratico dove la sostanza diventa il fattore determinante per il successo. Questo paradigma, se abbracciato, può creare un ecosistema più sano e orientato al valore reale, non solo alla percezione.

Noi siamo pronti, Voi?

Articolo di Marco Simontacchi

04/12/2024